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domenica 5 ottobre 2014

Si parte col nuovo MENSISTORIA

Finalmente è tutto pronto. Si parte col nuovo sito di Mensistoria!!!!
Ecco il link. D'ora in poi troverete li tutti i nostri articoli.
Vi aspettiamo numerosi!!!

Ps: tra pochi giorni il blog vecchio verrà chiuso, salvate nei preferiti il nuovo indirizzo e cancellate quello vecchio!

sabato 4 ottobre 2014

Rembrandt muore. Non le sue emozioni (4 Ottobre 1669)


Arte? Capitolo oscuro, argomento di cui capisco poco o nulla. Non sono assolutamente in grado produrre una critica decente o descrivere un dipinto raccontandovi tecniche pittoriche, giochi di luce, prospettive. Nebbia fitta. Dovrebbero essere queste ragione sufficienti per consigliarmi una dignitosa fuga al cospetto di qualche riga riguardante quel genio che fu Rembrandt Harmenszoon van Rijn. Invece no, perché vi sono tre aspetti ben incastonati nella mia testolina. Prima di tutto il 4 Ottobre del 1669 il buon Rembrandt ha pensato bene di lasciare questo mondo per regalare ad abitanti di altri luoghi le proprie incisive e corpose pennellate. A causa della nefasta ricorrenza l’unico scrivano rimasto ingobbito sulla tastiera si è visto costretto ad intervenire. In secondo luogo non temo smentita quando affermo che, con tutte le mancanze mie in materia, credo di saper percepire le emozioni che la vita ci vuole regalare, e dipinti come quelli del pittore olandese di emozioni me ne regalano parecchie. Per finire, il periodo Olandese-Fiammingo del XVII secolo mi piace assai. Non sono sicuro che siano tre ragioni validissime per muovere incerti passi all’interno di una galleria buia e sconosciuta, ma ci provo prima di essere sommerso dai fischi. Non vi parlerò propriamente del sapiente Rembrandt, ma di uno dei suoi quadri che preferisco. “La ronda di notte”. Uno dei più famosi, originali e misteriosi.
Dipinta nel 1642 questa gigantesca opera ha percorso la storia attraverso innumerevoli traversie. Ha subito attentati, ha attraversato guerre resistendo alle contumelie del tempo. Durante la seconda guerra mondiale il dipinto fu arrotolato e nascosto in un bunker sotterraneo per poi tornare a vedere la luce alla fine del conflitto. A seguito di un successivo restauro si scoprì addirittura che la ronda notturna in realtà notturna non era. Anzi originariamente era ben esposta alla luce del sole. La sporcizia, l’ossidazione, forse strambi restauri ed il trascorrere degli anni ne hanno offuscato i colori facendo credere che fosse ambientata sotto il ghigno beffardo delle tenebre. 
“La ronda di notte” rientra nel filone del ritratto di gruppo, tipicamente in voga in quel periodo e commissionato, come usanza richiede, per soddisfare le esigenze di corporazioni, istituzioni e potenti che, con essi, decoravano i loro palazzi. Nel nostro caso il committente del quadro fu il capitano degli Archibugieri Frans Banning Cocq, visibile in primo piano, ritratto insieme ad alcuni dei suoi ufficiali. Vicende militari richiederebbero ordine ed aspetto marziale. Niente affatto. Per lo meno l’innovativo Rembrandt così deve aver pensato e spennellato. Il geniaccio ha rappresentato il momento in cui il capitano impartisce gli ordini ai propri sottoposti che, dovrebbero eseguire mettendosi ordinatamente in marcia. Nulla di tutto questo emerge nel quadro.
Una rapida occhiata è sufficiente per rendersene conto, alimentando in tutti noi l’idea dell’originalità del pittore. Il dipinto sembra una fotografia, una realistica immagine catturata senza che le persone se ne avvedessero. Nulla di statico, caratteristica primaria fin qui dei ritratti, Ciò, ovviamente, fu una novità notevole nel campo pittorico. Gli uomini ritratti sembrano ben poco marziali nei loro atteggiamenti. Si muovono ciascuno per conto suo, in disordine, ognuno guarda in una diversa direzione. Tutto questo regala un effetto di naturale movimento. Le luci e le ombre fanno il resto, così la presenza di intrusi come la bambina, stranamente illuminata, ci aggiunge ulteriori tonalità di vita, di realismo, forse di mistero. Come spesso accade ciò che non viene compreso viene deriso ed il nostro quadro non ebbe un immediato riscontro. Gli stessi committenti gli rimproverarono un eccesso di originalità protestando per non essere stati giustamente valorizzati, ma addirittura ridicolizzati. Questi signori dotati di vista invero corta, mai si sarebbero immaginati l’importanza che il dipinto avrebbe assunto nel corso dei secoli. Non ne compresero certo le novità nascoste e la carica emotiva trascinante. Capita. Così come capita di leggere la descrizione di un quadro scritta da un personaggio che nulla ha da insegnare a riguardo, se non provare a trasmettere le emozioni che sommessamente prova, dopo aver gustato per minuti e minuti la splendida visione della “Ronda di notte”. Altro raccontarvi lo scrivano, proprio non può.
Luca Fontana

venerdì 3 ottobre 2014

Proclamazione del Thanksgiving Day (3 Ottobre 1789)


Il 3 Ottobre 1789 George Washington proclama il primo Giorno del ringraziamento. Il Giorno del Ringraziamento (Thanksgiving Day) è una festa cristiana osservata negli Usa (quarto giovedì di novembre) e in Canada (secondo lunedì di ottobre) in segno di gratitudine per la fine della stagione del raccolto.
Marco Fontana

giovedì 2 ottobre 2014

Countdown per il nuovo Mensistoria


Ancora pochi giorni di pazienza e il nuovo sito sarà pronto. Stiamo sistemando le ultime cose e daremo il via alla nuova Era di Mensistoria.
La Redazione

mercoledì 1 ottobre 2014

Apertura di Disney World (1 Ottobre 1971)


L'1 ottobre 1971 ha aperto il Walt Disney Resort, più comunemente noto come Disney World, in località Lake Buena Vista, nei pressi di Orlando, in Florida.
Negli anni è diventato un complesso di quattro parchi divertimento, per un totale di 169967 metri quadrati di puro spasso per grandi e piccini.
La Redazione

martedì 30 settembre 2014

La prima “stampa” di Gutenberg (30 Settembre 1452)

“L'autostrada informatica trasformerà la nostra cultura tanto drasticamente quanto l'invenzione della stampa di Gutenberg ha trasformato quella del Medioevo”. In tutta onestà non mi è semplice commisurare la portata delle parole con cui Bill Gates nel 1995 presentava al mondo la rivoluzione tecnologica che ci ha poi investito con il nuovo millennio. E, forse, poco mi interessa. Riesco però a percepire e ricordare le emozioni che ho provato quando, recatomi a Washington all’interno della Biblioteca del Congresso, si è stagliata dinanzi ai miei occhietti vispi una delle preziosissime copie tuttora esistenti della “Bibbia a 42 linee” stampata da Johannes Gutenberg. Uno dei libri più preziosi del mondo. Il primo libro stampato nella Storia, quantomeno in quella del vecchio continente. Una rivoluzione di portata inimmaginabile. Il tenace lavoro degli amanuensi sostituito dalla ”stampa a caratteri mobili” congegnata dall’inventore di Magonza. Libri e conoscenza mutarono dimensione proiettandosi, e con essi proiettando il mondo, verso il Rinascimento, in direzione dell’età moderna. Il corso delle umane vicende stava solcando il XV secolo, quando 1282 pagine piombarono a sconvolgerle. L’innovazione di Gutenberg consisteva nell'allineare i singoli caratteri formando una pagina che, una volta cosparsa di inchiostro, veniva pressata sulla carta. I caratteri, in quanto mobili, potevano essere riutilizzati ed essendo creati in leghe di metallo erano molto resistenti. Non come le matrici di stampa fino a quel momento utilizzate che venivano ricavate da un unico pezzo di legno consentendo ovviamente di stampare sempre la stessa pagina fino alla rottura della matrice. Così, in pochi decenni ci furono regalati, migliaia di titoli, milioni di copie. Alfabetizzazione, scrittura, disponibilità rapida e relativamente economica per testi di ogni genere e materia. Una nuova epoca dello sviluppo della comunicazione umana, una vera rivoluzione nella trasmissione delle idee e del sapere che risultò determinante per la rapida diffusione del pensiero rinascimentale. Si racconta che Gutenberg morì solo ed in relativa povertà. Triste destino che la Storia ha regalato a molti dei propri geni che ne hanno cambiato il corso. Probabilmente non si rese nemmeno conto dell’immenso valore della propria opera. Sicuramente non avrebbe mai potuto immaginarsi l’effetto dirompente sullo sviluppo della società europea e quindi su ciò che essenzialmente noi oggi siamo diventati. Se possiamo godere della giusta valorizzazione dell'uomo e della sua dignità, un uomo posto al centro del mondo, libero e protagonista della storia è grazie alla cultura, alla circolazione delle informazioni e del sapere e Gutenberg fu il volano che ne permise la diffusione di massa. Per questo, attraverso un pizzico di emozione manifestata in quel giorno a Washington, lo voglio ringraziare. 
Luca Fontana

lunedì 29 settembre 2014

Buon compleanno Mafalda (29 Settembre 1964)

Quando Marco, circa una settimana fa, mi ha comunicato che avrei dovuto scrivere sulla nascita di Mafalda, avvenuta il 29 Settembre 1964, mi sono domandata cosa mai avrei potuto scrivere riguardo una bambina un poco paffutella di cui non sapevo nulla o quasi. Ora, per i giornalisti professionisti, scrivere di qualcosa che non conoscono fa parte della loro routine quotidiana, ma ovviamente per me non è così. Ho iniziato, perciò, a fare mente locale di quel poco che sapevo: Mafalda è senza dubbio una bambina, paffutella, critica verso il mondo, spesso arrabbiata. So anche che è apparsa in alcuni calendari, uno dei quali, con lei in copertina che diceva “oggi mordo”, è stato appeso per un po’ in camera mia perché, secondo qualcuno, mi rappresentava e sinceramente questa cosa un poco mi dava fastidio. Queste le informazioni certe. Troppo poco per scrivere. Ho quindi iniziato ad ricercare e ho scoperto qualcosa di affascinante. Mafalda nasce in Argentina il 29 settembre 1964; compare in una striscia a fumetti, con già alle spalle un rifiuto; infatti doveva essere la protagonista di una campagna pubblicitaria, ma, alla fine, qualcosa andò storto e lei fu rifiutata, entrando però di diritto nella storia del fumetto. Lei è una bambina che non vuole crescere e che critica aspramente, ma con gli occhi innocenti dell’infanzia, il mondo dei grandi, che lei non capisce, perché fanno cose stupide, cose che li rendono tristi, che non hanno senso di esistere, eppure le fanno. E questo ti fa riflettere. Proprio per questa sua innocenza, viene scelta dall’Unicef nel 1976 come testimonial di un poster sulla convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia. Mafalda dice le cose come stanno. “Vivo spettinata perché tutte le cose veramente belle della vita spettinano” (pensateci: dormire, ridere di gusto, fare l’amore, correre, giocare…alla fine non siete spettinati?) “Oggi ho imparato che la verità fa male alla gente” (quante volte dicendo la verità avete perso un amico, rovinato una relazione, ferito qualcuno?) “Non c’è niente di peggio che avere rabbia e ragione” (e chiunque ha provato questa sensazione sa che è una delle più grandi verità)“… queste sono solo alcune delle cose che mi hanno colpito leggendo Mafalda. Mafalda ha venduto oltre 50 milioni di copie in tutto il mondo; questa bambina ha urlato la sua indignazione in circa 30 lingue diverse, arrivando in 50 paesi; eppure il suo creatore ha disegnato per soli 10 anni. Questi i numeri, questa la storia in poche righe. Ma per capire Mafalda, vi do un consiglio; leggetela, vi farà ridere, vi farà riflettere e vi farà sorridere, ricordandovi che c’è stato un momento in cui tutti noi eravamo bambini e guardavamo il mondo dei grandi senza capirlo, quel mondo fatto di convenzioni che non hanno, forse , senso di esistere; vi ricorderete che c’è stato un tempo, più o meno lontano, più o meno vicino, in cui tutto era semplice: ti piaceva una persona, la cercavi, senza giochi, senza inganni; ti addormentavi la sera di capodanno credendo davvero che il giorno dopo sarebbe stato migliore. Per tutto questo, e per tanto altro ancora, grazie Mafalda, scusami se ho capito solo ora chi sei davvero e che essere stata paragonata a te, in effetti, è uno dei più grandi complimenti che mi siano mai stati fatti! Ancora auguri!!E grazie!!
Caterina Valcarenghi

giovedì 25 settembre 2014

Chiude l'inferno delle Case Magdalene (25 Settembre 1996)

Il 25 Settembre 1996 è stata chiusa in Irlanda l’ultima Casa Magdalene.
Fino al 1993 l’esistenza di queste case non era esattamente di dominio pubblico o, quantomeno, non era chiara la loro ambiguità. Fino a che la cessione di parte di un convento ad un immobiliarista fece scoprire i resti di 155 donne tumulate in tombe anonime.
Ma cosa erano le Case Magdalene?
Delle sorta di istituti gestiti prevalentemente da suore, per conto della Chiesa Cattolica, che accoglievano ragazze orfane o che conducevano una vita ritenuta “immorale”, spesso contro la loro volontà. Le ragazze, nella maggior parte dei casi adolescenti, venivano portate in istituto con la complicità dei famigliari che, per salvare la reputazione della famiglia, non potevano permettersi di tenere in casa figlie vittime di stupro, troppo belle o brutte, colpevoli magari di essere ragazze-madri. I genitori le scaricavano nelle Case Magdalene per espiare i loro peccati e salvare l’onore della famiglia.
Una volta dentro per le ragazze iniziava l’inferno. 
Ritmi di lavoro estenuanti. Le ragazze erano costrette a lavare il bucato a mano, da qui il nome attribuito in Irlanda Magdalene Laundries (Lavanderie Magdalene), per ore e ore ogni giorno. Manodopera gratuita che permetteva ingenti guadagni agli istituti, che diventavano come vere e proprie lavanderie industriali a costo zero.
Privazioni di ogni genere e preghiera, sommate al duro lavoro erano la condotta che le ragazze dovevano seguire verso la redenzione dei peccati passati.
E’ stato stimato che circa 30000 donne furono “ricoverate” nella case Magdalene nei loro 150 anni di esistenza.
Le ragazze che entravano in questi istituti erano sole, indifese, molto giovani. Potevano considerasi pazienti, ma anche vere e proprie detenute. Dopo la loro chiusura, alcune di loro durante interviste, ammisero di essere state vittime di abusi sessuali, psicologici e fisici.
Furono chiuse nel 1996, ci si domanda come mai così tardi.
Marco Fontana

mercoledì 24 settembre 2014

Buon Compleanno a Pedro Aldomovar (24 Settembre 1949)

“La cosa certa è che, se mi guardo allo specchio, non vedo un uomo che ha raggiunto la felicità, il benessere e la serenità perché le sue opere sono state apprezzate. Il successo professionale non mi ha garantito niente di tutto ciò. Mi ha semplicemente permesso – ed è una cosa molto importante – di poter lavorare in totale libertà e indipendenza.” (Pedro Almodovar)

Il 24 Settembre 1949 è nato uno dei più grandi registi europei di sempre.
Aldomovar nelle sue pellicole tratta, spesso in modo anche ironico, sentimenti, amore, sesso, passione omosessuale e non lesina critiche alla religione.
Ha avuto la consacrazione internazione con “Donne sull’orlo di una crisi di nervi” nel 1988 e successivamente è riuscito anche a vincere l’Oscar con “Tutto su mia madre” del 1999, a mio avviso assolutamente splendido.
Aldomovar fa parte del cinema con C maiuscola, il cinema che racconta storie e descrive realisticamente la società.
Grazie Pedro, Buon Compleanno!
Marco Fontana

martedì 23 settembre 2014

Il sacrificio di Salvo D'Acquisto (23 Settembre 1943)

Strappò la camicia,
offrii il suo petto
di umile servitore,
così volle l'altruistico
suo cuore.
Offrii, la vita
per salvare ventidue
anime innocenti
perché responsabili
-non vero- di attentato
presunto al milite tedesco.
- da solo -
imponendosi al cospetto
degli insensati carnefici,
per amor cristiano,
impavido la morte
affronto.
Pagina indelebile
di puro eroismo
scrisse, nella secolare
storia dell'Arma
e
del popolo italiano.
(Filippo S. Sganci)


Il 23 Settembre 1943 il vice brigadiere dei Carabinieri, Salvo D’Acquisto si sacrifica per salvare la vita di 22 persone innocenti.
Ennesima vittima della follia nazi-fascista, ennesimo eroe in un periodo buio del nostro paese.
Marco Fontana

domenica 21 settembre 2014

"Il Giudice ragazzino". La morte di Rosario Livatino (21 Settembre 1990)

Il “Giudice Ragazzino” è un film del 1994 diretto da Alessandro di Robilant in cui, un giovanissimo Giulio Scarpati interpreta Rosario Livatino, magistrato italiano assassinato dalla stidda agrigentina il 21 Settembre 1990, sulla statale Agrigento-Caltanissetta.
La pellicola è ambientata, ovviamente, nella Sicilia degli anni ottanta, dove il sostituto procuratore Rosario Livatino viene incaricato di svolgere le indagini sulla mafia nella zona Canicattì-Agrigento. Livatino sostiene che sia proprio in quei luoghi, lontani da Palermo, che si stia concentrando il traffico di stupefacenti dell’isola. Sempre in quelle terre vi è in corso una lotta di successione tra Antonino Forte e Giuseppe Migliore, vicino di casa di Livatino.
L’omertà siciliana, la burocrazia e la paura dei colleghi creano al procuratore diversi problemi. Quei pochi disposti ad aiutarlo vengono assassinati, ma lui non si arrende. Sa che rischia la vita, ma non molla, non lo farà mai.
Si innamora dell’avvocato Guarnera, interpretato da Sabrina Ferilli, con la quale avrà una relazione non semplice sia per motivi professionali che famigliari.
Dopo un anno il giudice Livatino verrà ucciso. Il 21 settembre del 1990 mentre si recava, senza scorta, in tribunale.
Del delitto fu testimone oculare Pietro Nava, sulla base delle cui dichiarazioni furono individuati gli esecutori dell'omicidio e la scena della morte del giudice è stata girata seguendo perfettamente il racconto del testimone.
Questa pellicola ha vinto diversi premi, tra cui il David di Donatello come miglior attore e il Globo d’Oro come miglior sceneggiatura.
Il titolo “Giudice ragazzino” deriva dall’appellativo dato dal Presidente della Repubblica, Cossiga, ai giovani coraggiosi giudici che esercitavano la professione con coraggio e abnegazione.
“Il Giudice deve offrire di sé stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile; l’immagine di un uomo capace di condannare ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società: questo e solo questo è il Giudice di ogni tempo. Se egli rimarrà sempre libero ed indipendente si mostrerà degno della sua funzione, se si manterrà integro ed imparziale non tradirà mai il suo mandato” (Rosario Livatino)
Marco Fontana

sabato 20 settembre 2014

La legge Merlin entra in vigore (20 Settembre 1958)

Il 20 Settembre 1958 alle ore 00.00 entrò in vigore la famigerata "Legge Merlin" appoggiata dai socialisti, comunisti, repubblicani, socialdemocratici e democristiani e contrastata dai liberali, radicali, missini, monarchici e vari dissidenti di partiti favorevoli. La legge è presto spiegata: chiusura delle "case chiuse" (i bordelli per intenderci), abolizione della legalità e della regolamentazione della prostituzione, introduzione dei reati legati alla prostituzione e costituzione di un Corpo di Polizia femminile che si sarebbe occupato di prevenire e reprimere i reati contro il buon costume e della lotta alla delinquenza minorile. È difficile parlare della "Legge Merlin" evitando di dire la propria opinione, anzi ritengo sia impossibile, soprattutto negli ultimi anni, da quando cioè si è aperto il dibattito sulla possibilità di abrogare questa legge. Analizzando (o cercando di farlo) i fatti posso dire che, prima di tutto, sono rimasta stupita nel vedere chi ha appoggiato questa legge e chi si è opposto (sinceramente avrei scommesso il contrario, ma in fondo, come dice Gaber: "…che cos'é la destra? Cos'è la sinistra?"); in secondo luogo bisogna ricordare che il primo movens della legge era quello di liberare dalla schiavitù della prostituzione le donne. Tra le cose che ho letto per cercare di scrivere questo articolo, mi hanno colpito le parole profetiche di un mio collega, dissidente del PSI, il dottor Gaetano Pieraccini il quale affermò che, il fatto di relegare nell'ombra la prostituzione, avrebbe portato a conseguenze disastrose per la salute pubblica, aumentando persino lo sfruttamento che però riteneva, sebbene inaccettabile, essere inestirpabile dalla società. A distanza di 56 anni credo che, forse, il mio collega avesse ragione. La prostituzione esiste ancora, eccome! Si svolge nel buio delle strade, dove donne inesistenti per lo stato, spesso straniere, vengono sfruttate e tenute in uno stato di schiavitù, senza controlli, senza avere qualcuno a cui rivolgersi. In altri paesi, dove la prostituzione è legale, le prostitute sono controllate, tutelate e, pagando le tasse, spesso scelgono liberamente e senza padroni di prostituirsi, avendo diritto anche ad una pensione! Perchè cito la pensione? Perchè qualche anno fa aveva fatto scalpore il caso di una prostituta lombarda che rilasciava regolare fattura per i servigi prestati e lo faceva perchè lei voleva pagare le tasse ed avere diritto ad avere, come libera professionista, la pensione. Come donna credo che scegliere di prostituirsi non sia facile, anzi tutt'altro. Io che mi innamoro per un bacio trovo impossibile pensare di fare sesso per soldi! Ma credo che un adulto nel pieno delle sue facoltà mentali e senza costrizioni di alcun genere (cosa che purtroppo ad oggi non accade) possa fare quello che vuole del suo corpo, ecco perchè non riesco davvero a capire fino in fondo la "Legge Merlin". In un mondo dove Youporn la fa da padrona, in un paese, l'Italia, in cui esistono i night club (e lo sappiamo tutti che non è un luogo di preghiere) e le dark room, diciamo che questa legge un poco mi fa sorridere, come mi fa sorridere studiare il proibizionismo americano e pensare che qualcuno ha davvero creduto che potesse funzionare. Per citare il mio collega Pieraccini "per evitare la prostituzione, dovremmo essere costruiti come gli animali inferiori, ad esempio il corallo, che è asessuale e non ha il sistema nervoso”. Ovviamente questi sono solo miei pensieri, che spero non offendano nessuno. Detto questo il fatto storico è che da 56 anni in Italia fare sesso per soldi, favori etc. è illegale…o almeno così si dice!
Caterina Valcarenghi

venerdì 19 settembre 2014

Il pallone magico. Il primo volo della mongolfiera (19 Settembre 1783)

Luigi XVI quel giorno si sentiva apatico e nervoso. Come molte altre volte. Troppe. Giorni grigi che si rincorrevano, sorvolando le proprie perenni indecisioni. Quelle riforme mai portate a termine, il poco coraggio nell’imboccare la strada di scelte che scontentassero i nobili. In fondo lui sapeva che avrebbe dovuto fare di più, come il suo stile sembrava promettere nei primi anni di regno. Ma proprio non ci riusciva. Per non parlare poi della vita privata, se di vita privata si poteva parlare. Il rapporto con la consorte, Maria Antonietta, non era certo dei migliori. Amore? Mai. Al massimo un indifferente rispetto, trasformatosi con il tempo in senso di colpa, in paura di non essere all’altezza. Ed ecco che, come per ricompensarla in qualche modo, le aveva lasciato la briglia perennemente sciolta. Ma questo non si poteva certo definire amore. Sospirò. In fondo lui era sempre il Re di Francia. Inoltre quella diavoleria che si stava innalzando nel cielo sopra Versailles non poteva certo non stupire e divertire. La folla presente nel giardino della reggia per un attimo lo rincuorò. Un fugace sguardo verso Maria Antonietta, che era li a fissare il cielo vicino a lui, e poi ancora con il naso all’insù verso l’incredibile spettacolo rappresentato da quel pallone volante. La folla accorsa nei giardini della reggia per assistere all’esperimento di quei due pazzi dei fratelli Montgolfier sembrava affascinata. Come lui. Come il Re. Luigi XVI si sentì più sereno e cercò con lo sguardo quel buffo uomo che stava stupendo Parigi con la propria invenzione. 
Etienne Montgolfier era gonfio d’orgoglio. Il Re in persona lo stava osservando, così come i membri dell'Accademia delle Scienze. Per non parlare poi di quella folla stupefatta ed entusiasta. La reggia di Versailles gli sembrava più bella di come l’avesse mai immaginata. Tutto procedeva per il meglio. Il suo "Aerostate Révellion" danzava nel cielo. Un po’ indeciso, ma danzava. Del resto l’esperimento non poteva che riuscire meglio dei precedenti. Per la prima volta vi erano dei viaggiatori nel cesto di vimini legato all’enorme pallone di 1400 metri cubi. Un montone, un'oca ed un gallo. Chissà quanto sarebbe durato il volo, pensò Etienne. Dove sarebbe caduto il suo aerostato e se sarebbero sopravvissuti quei tre poveri animali. Il suo aerostato? Non proprio. Il merito se vogliamo era da attribuire almeno in egual parte al fratello Joseph. Certo era toccato ad Etienne correre a Parigi per gli esperimenti e per attribuirsi la paternità dell’invenzione. Era Etienne quello che sapeva e doveva amministrare l’azienda di famiglia. Inoltre lui, avendo studiato a Parigi, aveva più familiarità con le abitudini e i costumi della città mentre il fratello Joseph, originale nei modi e poco avvezzo alle relazioni pubbliche decise di rimanere a casa.
Ma era stato il fratello, geniale ed un po’ inaffidabile, ad avere la prima idea del pallone volante. Joseph stesso gli aveva raccontato in che modo, gli venne l’illuminazione. Si trovava ad Avignone nell’autunno precedente per portare avanti gli affari della cartiera di famiglia. Una sera, seduto davanti al fuoco di un camino, i pensieri corsero verso il tenace assedio alla fortezza di Gibilterra che le forze navali spagnole e francesi portavano avanti da tempo allo scopo di sottrarre quel piccolo pezzo di terra agli Inglesi. Gibilterra fino ad ora si era dimostrata imprendibile sia dal mare che da terra. Perché non provarci dal cielo?. Perché nessun uomo aveva mai potuto volare fino a quel momento. A quel punto la camicia gli aprì la mente ad una possibilità incredibile. L’aria riscaldata dal fuoco del camino faceva svolazzare verso l’alto la propria camicia, stesa ad asciugare. Per un genio come Joseph passare da quella visione al costruire una scatola ricoperta di tela e farla alzare fino al soffitto sospinta da un fuoco sottostante fu un passo breve e quasi scontato. E da quel passo tutti i successivi, magari più lunghi e trapunti di ostacoli. Esperimenti di varia natura e materiali, fallimenti e segnali incoraggianti. Fino ad arrivare davanti al Re nei giardini di Versailles. Quel giorno, per la prima volta, tre esseri viventi potevano sorvolare la terra dall’alto di un oggetto volante. Anche se solo per otto minuti. Ed il merito era tutto loro. Dei fratelli Montgolfier. L’importanza del pallone aerostatico che sfruttando l’aria calda vibra nel cielo un po’ instabile e tremante non si esaurisce in una splendida invenzione che ancora oggi ammiriamo ricordando il nome dei due fratelli francesi. Nei giardini di Versailles quel giorno si sfidarono inconsapevolmente due mondi. Il mondo figlio del secolo dei lumi, un periodo di grande splendore artistico, culturale, scientifico e tecnico che ci avrebbe accompagnato attraverso la Rivoluzione Francese ad incontrare la società moderna come la conosciamo oggi, ed una rappresentazione al crepuscolo, che aveva come attori il Re e sua moglie, rappresentazione impregnata di indecisioni e di incapacità nel comprendere il mondo in movimento e di antichi e insopportabili privilegi. L’incontro tra gli occhi dell’inventore e quelli del Re, sotto il sorriso vigile e complice della prima mongolfiera, fu un momento da fermare come in una fotografia. Per riguardarlo spesso e capire come è nei frangenti più inaspettati che la Storia può mutare se stessa. Come in una magia. La magia del pallone volante.
Luca Fontana

giovedì 18 settembre 2014

Addio Franco Franchi. Intervista impossibile (18 Settembre 1992)

Buongiorno signor Benenato.
Buongiorno a lei. Credo sia il primo negli ultimi cinquant’anni a chiamarmi con il mio vero nome, non ci sono abituato.
Effettivamente è noto a tutti come Franco Franchi. Come mai scelse quel nome d’arte?
Francesco Benenato non mi suonava bene alle orecchie, mi serviva un nome da comico. Franco Franchi mi faceva sorridere.
Siciliano doc, anzi Palermitano doc.
Assolutamente. Ne vado fiero. Sono nato a Monte di Pietà e cresciuto alla Vucciria. Più doc di così.
Infanzia non semplice, vero?
Direi di no. Ero il quarto di diciotto fratelli. Famiglia povera, nonostante il lavoro di papà era dura crescere così tanti figli. Dovetti lasciare la scuola senza completare nemmeno le elementari per lavorare.
Ma aveva un dono.
Diciamo di si. Ero bravo a recitare e a fare ridere la gente.
Come iniziò la sua fantastica carriera?
Mi dilettavo per le vie di Palermo cantando, suonando e recitando filastrocche, quando fui notato da Salvatore Polara, un musicista napoletano, che mi prese nel suo gruppo. Era il 1945. Dopo cinque anni lo abbandonai, ma lo ringrazierò per sempre.
Poi?
Ebbi un periodo buio. Finii addirittura in galera per furto, feci il militare e il posteggiatore al nord Italia. Finchè non tornai in Sicilia e ci fu la vera e definitiva svolta.
Conobbe Ciccio.
No, prima conobbi e sposai Irene, da cui ebbi due splendidi figli. In seguito conobbi Ciccio. Due matrimoni nel giro di poco tempo.
Con Ciccio Ingrassia la carriera si impennò.
Sicuramente. Ci incontrammo quasi per caso per le vie di Palermo. Iniziammo a lavorare insieme e girammo ben 132 film insieme. Con grande successo.
Quali film ricorda con maggior piacere?
Senza dubbio “Due mafiosi contro Goldginger”, “Ciccio perdona…io no!”, “I due sergenti del Generale Custer”.
Francis Ford Coppola ha dichiarato: “Franco Franchi non era un siciliano, era il siciliano. Non era un comico, era il comico”.
Se lo dice Coppola, non posso fare altro che togliermi la coppola.
E dopo la gloria arrivò la malattia.
Già. Bastarda. Mi ammalai al fegato. Cirrosi epatica. Mi piaceva mangiare bene e tanto, magari ogni tanto abbondavo anche col bere, ma non ero un alcolizzato. Morii il 18 settembre 1992 a soli 64 anni.
Al suo funerale erano presenti migliaia di persone.
L’ho saputo. Ne vado fiero.
Grazie signor Franco.
Grazie a lei. Grazie a tutti.
Marco Fontana

martedì 16 settembre 2014

La notte delle matite spezzate (16 Settembre 1976)

Tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare capeggiata dal Jorge Rafael Vileda sono scomparse quasi 30.000 persone. Desaparecidos. Uomini e donne la cui unica colpa era di pensarla diversamente da una feroce, grigia, assurda dittatura. Dissidenti, a volte nemmeno quello. Ragazzi. Come Maria Claudia Falcone, Horacio Ungaro, Claudio de Acha, Panchito Lopez Muntaner, Daniel Racero e Maria Clara Ciocchini. La notte del 16 Settembre 1976 fu il loro turno. Erano solo sei ragazzi, impegnati nel movimento degli studenti a La Plata e le loro rivendicazioni, in quelle settimane, riguardavano il boleto estudiantil, una tessera che garantiva uno sconto sui libri di testo e sul prezzo del biglietto dell’autobus. Sei ragazzi prelevati dalla polizia mentre dormivano nelle loro abitazioni. Di loro non si avranno più notizie. Ragazzi che in pochi momenti vedono trasformare il gioioso slancio giovanile, una felicità effimera ed ingenua, premio per la realizzazione degli ideali di giustizia, all’inferno dell’arresto, delle carceri segrete, dei campi di detenzione, della tortura, della violenza immotivata e cieca; il tutto con una rapidità tremenda che sconvolge le vite e le menti di ragazzi che nemmeno potevano immaginare che nel loro Paese si potesse arrivare a tanto. Mai avrebbero pensato di divenire vittime di una repressione scientificamente studiata, definita “la notte delle matite spezzate”. Un programma criminale attuato con lo scopo di eliminare qualunque forma di protesta e di dissidenza. Torture, omicidi politici, sparizioni, assenza di processi penali. Il tutto all’insegna della massima segretezza. Gli anni passarono, la Storia proseguì il proprio cammino, il progressivo trapelare delle notizie in merito alla repressione delle proteste e della inspiegabile scomparsa di oppositori o dissidenti si fecero sempre più pressanti e le vicende del nostro piccolo pianeta portarono dopo sette anni alla caduta del regime. Si riuscì quindi a scoperchiare questo anfratto maleodorante della Storia ed a far emergere quanto accadde in quei terribili anni in Argentina, Di migliaia di persone a tutt’oggi non abbiamo ancora notizia e mai ne avremo. Tra queste ci sono quei sei ragazzi, che in fondo erano solo delle fragili matite spezzate troppo presto.
Luca Fontana

lunedì 15 settembre 2014

Moana. 20 anni dalla morte (15 Settembre 1994)

Cara Anna,
sono passati ormai 20 anni dalla tua morte misteriosa, eppure la fiamma del tuo mito non si è mai affievolita, anzi è aumentata negli anni. Con il tuo nome d’arte, Moana, sei entrata di prepotenza nelle case degli italiani, rompendo quel falso muro di perbenismo dietro cui si nascondeva l’allora volto dell’italiano medio. Credevi in quello che facevi e lo amavi (esattamente come la Bocca di Rosa di De Andrè perché “C'e' chi l'amore lo fa per noia chi se lo sceglie per professione bocca di rosa ne' l'uno ne' l'altro lei lo faceva per passione”). Il mestiere più antico del mondo con te, però, si è vestito di una nuova luce. Non eri una puttana, o, almeno, non eri solo questo. Bella, bellissima, hai iniziato la tua carriera come modella e poi conducendo un programma per bambini. Ma il porno, forse per i soldi facili, forse perché semplicemente ti piaceva fare sesso e farti guardare mentre lo facevi, ti ha attirato quasi fin da subito. Nelle tue interviste hai sempre rivendicato con onore quello che facevi, non te ne sei mai vergognata, non ti sei mai tirata indietro. Non avevi una storia strappalacrime alle spalle; i tuoi genitori non ti picchiavano, non ti hanno fatto crescere nella miseria, anzi, ti hanno fatto studiare e, forse speravano per te e tua sorella (in arte baby Moana) una carriera diversa. Ma tu hai scelto. E hai fatto tremare l’Italia con il tuo libro in cui hai dato i voti ai tuoi amanti (tra cui un noto politico italiano), hai preso per il culo la politica fondando (e avendo pure dei rappresentanti eletti tra cui la tua collega Cicciolina) il partito dell’amore, hai sempre detto quello che pensavi, con i vestiti addosso oppure senza, e, quello che dicevi, non passava inosservato. Perché tu non eri stupida, anzi...sapevi esattamente come colpire e quando farlo. Nessuno ti ha mai fatto stare zitta…paradossalmente eri amata dagli uomini e, strano a dirsi, stimata da molte donne. Unica puttana, passami il termine ma in fondo questo eri, invitata ai talk show in prima serata. Forse perché eri molto più arguta di tante starlette che, puttane di nascosto, poi non sapevano che dire. 
Niente ti ha fatto mai tacere. Che ti si amasse od odiasse sei stato un simbolo degli anni ’80 e ’90 fino a quando il cancro, o forse l’AIDS, o forse la droga, ti ha portato via.
A volte mi immagino cosa diresti tu vedendo questa Italia, che tanto hai amato, sprofondare nel perbenismo, nelle difficoltà, nelle stupide ed illusorie promesse. Chissà cosa diresti tu vedendo quello che accade oggi.
Ti saluto cara Anna. Tante persone credono che tu, in realtà, non sia morta, esattamente come accade ai miti. Oggi i telegiornali parleranno ancora di te. E chissà quanto rideresti se tu, ancora viva, vedessi tutto questo...forse penseresti con ironia ed orgoglio che tu hai davvero scardinato la moralità, perché, in fondo come diceva De Andrè, cantando che “E con la Vergine in prima fila
e bocca di rosa poco lontano si porta a spasso per il paese l'amore sacro e l'amor profano”, tu hai fatto esattamente e pubblicamente la stessa cosa. 
Ciao Anna.
Caterina Valcarenghi

domenica 14 settembre 2014

Mensistoria sbarca sui social network!!!


Da oggi sono disponibili le pagine facebook e twitter di Mensistoria. Come promesso ci stiamo migliorando!!!

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La Redazione

giovedì 11 settembre 2014

La Storia di Patrick Anderson (11 Settembre 2001)

11 Settembre 2001, questa data ci riporta con la mente ai tanti, troppi morti provocati dagli attentati, ma io voglio soffermarmi sulla storia di uno che da quel giorno è sopravvissuto. Era li, ha tremato, ha avuto paura, ma ne è uscito vivo. Patrick Anderson.
Patrick, un economista di un’azienda del Michigan, quel giorno si trovava a New York per la conferenza annuale della National Association for Businness Economics, con sede proprio nell’hotel al centro delle Twin Towers.
Si salvò solo perché, ancora appesantito dalla cena della sera precedente, saltò la colazione ed andò, in anticipo sulla propria tabella di marcia, ad allenarsi nella palestra all’ultimo piano. Tornò in stanza circa quindici minuti prima che l’aereo si abbatté sul grattacielo.
Patrick era in doccia e sentì tremare tutto. Affacciandosi alla finestra vide le facce sgomente dei passanti, i primi cadaveri a terra schiacciati da macerie. Non capì immediatamente cosa era successo. Come avrebbe potuto?
Gli altoparlanti consigliavano di stare nelle proprie stanze, ma Patrick era perplesso. Dare ascolto a loro o a chi nei corridoi gridava di fuggire? Si vestì in fretta e, ancora con una scarpa sola, si precipitò giù dalle scale. Il suo inconscio gli stava dicendo che quella stanza sarebbe diventata una trappola di morte.
Scendendo vide scene di panico. Persone in iperventilazione che non riuscivano a muoversi verso nessuna direzione, i pompieri eroici che invitavano la gente a scappare verso l’uscita sud correndo però verso il pericolo.
Mentre correva fuori dall’edificio, preoccupato di non essere schiacciato da una maceria o ancor peggio da una delle tante persone che, in preda alla disperazione, si gettavano dalle finestre, Patrick rivolse lo sguardo verso l’alto. Voleva capire. Proprio in quel momento vide il secondo aereo schiantarsi.
A quel punto a costo di farsi scoppiare i polmoni Patrick, corse più veloce che poteva, per mettere il maggior numero di metri tra lui e l’inferno. Le Torri crollarono e lui evitò l’immensa nube di polvere rifugiandosi in una scuola.
Era salvo. Terrorizzato, incredulo, ma salvo. Non si scorderà mai quei minuti. Lui si salvò, migliaia di altre persone no.
Patrick, con un suo collaboratore anch’egli superstite, fondò la Michigan Remembers 9/11. Per non dimenticare quell’11 Settembre 2001.
Marco Fontana


martedì 9 settembre 2014

Fondazione del CLN (9 Settembre 1943)

Il 9 Settembre 1943, a Roma, venne istituito il CLN, Comitato di Liberazione Nazionale, per opporsi al regime fascista e liberare l’Italia dall’occupazione nazista.
L’organizzazione, costituita da personaggi appartenenti ai principali partiti e movimenti del paese come il Partito Comunista, la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito d’Azione e il Partito Liberale, doveva, in primis, dirigere e coordinare la Resistenza agendo clandestinamente.
Alla seduta di fondazione parteciparono Ivanoe Bonomi, primo presidente, Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola, Alcide De Gasperi, Ugo La Malfa, Sergio Fenoaltea, Pietro Nenni, Giuseppe Romita, Meuccio Ruini e Alessandro Casati.
Il CLN come compiti principali doveva assumere tutti i poteri costituzionali dello Stato, condurre la guerra di liberazione a fianco degli alleati angloamericani e convocare il popolo al cessare delle ostilità per decidere sulla forma istituzionale dello Stato.
Oltre all’attitudine politica il CLN era a tutti gli affetti un’organizzazione militare, ogni partito aveva le sue milizie, per esempio quelle del PCI era le Brigate d’Assalto Garibaldi, mentre quelle della DC si chiamavano Brigate del Popolo.
Finita la guerra, sconfitto il nazi-fascismo il CLN venne spogliato delle proprie funzioni e di conseguenza sciolto nel 1947.
Marco Fontana

lunedì 8 settembre 2014

Annie Chapman. La seconda vittima di Jack lo Squartatore (8 Settembre 1888)

L'8 Settembre 1888 sul retro del numero 29 di Hanbury Street venne ritrovato il corpo senza vita di Annie Chapman.
Chi sia Annie Chapman è noto a pochi, la sua terribile morte sarebbe passata inosservata se ad ucciderla non fosse stato lui, il primo serial killer della storia, Jack lo Squartatore.
Le vittime accertate dello Squartatore sono cinque, Annie è la seconda.
Annie faceva la prostituta nelle vie del famigerato quartiere di Whitechapel. Non da subito. Da giovane ebbe una vita normale, si sposò ed ebbe figli, ma la vita le girò le spalle e fu così che il matrimonio fallì ed Annie precipitò nel baratro della depressione e dell’alcol e iniziò a prostituirsi per racimolare qualche soldo per sostentarsi e vivere nel pensioncine del quartiere.
Era il destino di molte povere donne della Londra Vittoriana.
La notte dell’8 Settembre 1888 seguì l’uomo sbagliato. Era un pazzo, un killer, quello che sarà ricordato con il nome di Jack lo Squartatore.
Annie non poteva saperlo. Una vita nell’oblio e la fama dopo la morte grazie al nome del proprio assassino. Una beffa.
Marco Fontana

domenica 7 settembre 2014

Il protocollo dei Boxer (1 Settembre 1901)

Il protocollo dei Boxer fu un trattato ineguale firmato il 7 settembre 1901 dall'impero Qing e dall'Alleanza delle otto nazioni (Francia, Germania, Giappone, Impero austroungarico, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) più Belgio, Paesi Bassi e Spagna in seguito alla sconfitta cinese nella rivolta dei Boxer di fronte al corpo di spedizione delle otto potenze stesse. Nei paesi occidentali, il protocollo era anche noto come “Trattato del 1901” o “Accordo di pace tra le Grandi Potenze e la Cina”.
Venne firmato dal principe Yikuang e Li Hongzhang per conto dell'impero Qing e da Alfons Mumm, Ernest Satow e Komura Jutaro rispettivamente per conto di Germania, Gran Bretagna e Giappone.
450 milioni di tael d'argento sarebbero stati pagati a titolo di indennità nel corso di 39 anni alle otto nazioni coinvolte, con il tasso di cambio dell'epoca, 450 milioni di tael equivalevano a 335 milioni di dollari d'oro e a 67 milioni di sterline che furono un grave fardello per la gente comune.
Il governo Qing avrebbe anche permesso alle nazioni straniere di insediare proprie truppe a Pechino. Inoltre, le potenze avevano incluso l'imperatrice Cixi nella loro lista di criminali di guerra, sebbene funzionari provinciali come Li Hongzhang e Yuan Shikai la difendessero sostenendo che non aveva il benché minimo controllo sull'insurrezione. L'imperatrice venne in seguito depennata, ma avrebbe abbandonato il potere e rinunciato a qualsiasi ingerenza negli affari di stato.
L'evento accrebbe ulteriormente il già forte decentramento di potere in Cina, dal governo alle province, la sconfitta della rivolta e la durezza del protocollo diedero avvio alle riforme del tardo impero Qing, che in sostanza proseguirono la Riforma dei cento giorni e condussero nel 1911 alla Rivoluzione Xinhai.
All'orizzonte spuntava un unico modo per restituire pace e prosperità alla Cina: la rivoluzione.
Marco Fontana

sabato 6 settembre 2014

Il funerale di Lady Diana (6 Settembre 1997)

Il 31 agosto 1997 muore, sotto il Pont dell’Alma di Parigi, Lady Diana Spencer, meglio conosciuta come Lady D. Paradossalmente la principessa triste, che aveva cercato l’amore senza mai trovarlo, che aveva rincorso l’amore senza mai afferrarlo, muore nella città degli innamorati. La notizia sconvolge tutto il mondo. O quasi. Madre di due figli, ex principessa del Galles, bella, ma tradita, umiliata ed innamorata, la sua storia d’amore l’aveva fatta avvicinare a noi, lontano da quell’olimpo patinato del glamour della vita (apparentemente) perfetta dell’ultima grande monarchia occidentale. Me lo ricordo bene quel giorno. Io avevo 14 anni, era fine estate, di lì a poco avrei cominciato il liceo. In quel caldo ed afoso pomeriggio di agosto, senza sole, nuvoloso ma non piovoso (come se quel dolore si fosse accumulato in cielo impedendo al sole di splendere), io, Marco, Mirko e Massimiliano, unici superstiti milanesi in attesa di Federico, Silvia, Simona, Matteo, Paola, Gianluca e Laura ancora per lidi dispersi, dopo aver bighellonato tutto il pomeriggio in attesa di partire per Assisi il giorno dopo, ci siamo messi a parlare di lei, della sua morte. Quattro ragazzini, che già si sentivano grandi, ma che in realtà non sapevano di che stavano parlando. Come noi credo che quel giorno centinaia di migliaia di persone si siano fermate a pensare a lei, ai suoi figli, alla sua morte. Il mondo era sconvolto. Eppure la Regina Elisabetta non proferì una parola, non mise la bandiera a mezz’asta perchè lei non era più Sua Altezza Reale. Ma come tutti sanno vox populi vox dei, e nemmeno una regina, nemmeno LA regina Elisabetta, potè ignorare la richiesta di funerali di stato. Il 6 settembre il feretro di Lady D. attraversò le strade di Londra, scortato dai suoi ragazzi, William ed Henry, che si opposero alla stupida etichetta di corte che avrebbe impedito loro di accompagnarla a piedi. La regina Elisabetta, al suo passaggio, piegò la testa in segno di rispetto. Lady D. aveva abbattuto l’ultima etichetta di corte. In chiesa il suo amico Elthon John suonò “Candle in the wind”, i principini non alzarono la testa. Forse per noi era morto un mito, un simbolo, una stronza arricchita per qualcuno, ma per loro era morta la mamma. Il funerale fu un evento mediatico seguito da due miliardi di persone, tra cui me, Paola e Laura che, in una tenda di un campeggio di Assisi, vedemmo le immagini al telegiornale. Da quel 6 settembre sono passati 17 anni; Carlo si è sposato con Camilla, la regina ha dovuto accettare cose inaccettabili, William è diventato padre. Eppure il ricordo di Lady D. vive ancora. Nel mistero della sua morte, nella sua capacità di comunicare con la gente, di usare la sua immagine per cercare di focalizzare l’attenzione della gente sui problemi come le mine anti uomo, o le malattie. Non era una santa, era semplicemente un essere umano, che ha mostrato la sua umana fragilità. A me la sua morte colpì tanto, perché era morta una giovane donna in un modo così tragico. Fu la fine di un’epoca, non solo per il mondo, ma anche per me. Dopo quell’estate il mio gruppo di amici si separò e la vita andò avanti anche per noi; alla fine qualcuno di noi si ritrovò, qualcun altro no. Cosa c’entra la storia del mio gruppo di amici con il funerale di Lady D.? Forse nulla o forse tutto. Quando hai 14 anni tutto sembra per sempre, forte ed inarrestabile…esattamente come i miti…belli, giovani, ricchi e potenti…ma poi ti accorgi che basta poco perché tutto finisca. E cambi. E nella mia testa quel lontano giorno di settembre del 1997 segnò la fine della nostra vacanza ad Assisi…la fine della nostra infanzia e l’inizio dell’adolescenza….eppure quello che ho imparato da voi non l’ho mai scordato. Esattamente come la morte di Lady D. ed il suo funerale segnarono la fine di un’epoca, in cui i principi e le principesse vivono per sempre felici e contenti, e aprirono gli occhi al mondo su quanto in effetti siamo tutti uguali. Il mondo va avanti, uguale ma diverso, dopo la morte di un mito…e la fine di un’epoca. Ciao Lady Diana.
Caterina Valcarenghi

venerdì 5 settembre 2014

Cari amici...


Cari amici. Questo post non tratta di nessun argomento storico, ma potrebbe preannunciare qualcosa di storico che sta per accadere. Qualcosa di veramente importante. Ripensandoci forse sto esagerando leggermente, però qualche novità ci sarà a breve. Mensistoria cambierà aspetto. Stiamo lavorando per regalarvi un nuovo sito, più simpatico da vedere, più completo da consultare. Sempre con semplicità ed impegno. Speriamo di uscire con la nuova veste verso l’inizio di ottobre. Per questo motivo, unito al voler ritornare alla vera natura di Mensistoria cioè la storia mese per mese, nei prossimi giorni non troverete articoli quotidiani. Potremmo qualche volta saltare, ma ci perdonerete. In fondo, con le poche energie rimaste, stiamo lavorando per voi.
La Redazione

giovedì 4 settembre 2014

W gli Sposi!!! (4 Settembre 1971)

Auguri a papà e mamma che oggi festeggiano il 43° anniversario di matrimonio!!!

La resa di Geronimo (4 Settembre 1886)

Il 4 settembre 1886 la notizia si sparse come un baleno in tutti gli Stati Uniti: il capo della tribù degli Apache, Geronimo, si era arreso per l' ultima volta nei pressi di Fort Bowie, in Arizona. Con lui anche quindici uomini, undici donne e sei bambini. Ci erano voluti 5000 soldati, un quarto dell' intera forza dell' esercito, per arrestarlo e ben 25 anni.
Geronimo nacque in territorio messicano, era un Bedonkohe Ndehndahe Apache, ma è spesso considerato un Chiricahua. Crebbe divenendo un rispettato sciamano e un esperto guerriero e fu soprannominato dal proprio popolo "il Sognatore" perché asseriva di essere in grado di vedere il futuro.
Geronimo, guerriero coraggioso e molto astuto, guidò l’ultimo grande gruppo di combattimento di pellerossa che si rifiutò di riconoscere come padrone il governo degli Stati Uniti nel West. Questa lotta durò molti anni, ma giunse a termine il 4 settembre 1886, quando Geronimo si arrese al generale Nelson Miles dell'esercito statunitense, a Skeleton Canyon, Arizona. Geronimo venne mandato in prigione a Fort Pickens, in Florida, da cui venne poi trasferito nel 1894 a Fort Sill, in Oklahoma.
Non gli fu mai permesso di fare ritorno alla sua terra natia. 
Divenne una celebrità comparendo alle fiere e cavalcò durante la parata inaugurale del Presidente Theodore Roosevelt, nel 1905. Fu spesso intervistato e tutto questo fece accrescere la sua fama e lo fece diventare un mito, esempio di resistenza e coraggio contro gli invasori. 
Morì di polmonite a Fort Sill il 17 febbraio 1909.
Marco Fontana

mercoledì 3 settembre 2014

La speranza degli onesti. L'attentato al Generale Dalla Chiesa (3 Settembre 1982)

Palermo, la calda estate del 1982 è ancora lontana dallo sfiorire quando due mani sicure, ma tremanti per l’indignazione, affiggono su di un muro in via Isidoro Carini un cartello recante una scritta semplice, cruda, terribile. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. Non si è mai saputo di chi fossero quelle mani, ma conosciamo bene quel muro ancora sporco di sangue. La scena si sposta proprio in quello stesso punto, la sera precedente, il 3 settembre alle ore 21.15. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è appena uscito da quello che da 100 giorni è il suo luogo di lavoro, la prefettura, per andare a cena con la moglie Emanuela Setti Carraro. Lui ed Emanuela sono seduti dentro la loro A112. E’ lei al volante. Un'altra auto guidata dall’agente di scorta Domenico Russo li segue a brevissima distanza. Imboccano prima via Cavour, girano in via Crispi e, dopo aver costeggiato il porto, risalgono verso piazza Politeama. Ecco via Carini. Mentre la percorrono non si accorgono del sopraggiungere di due auto e una moto che, affiancandosi alla A112 aprono il fuoco a colpi di kalashnikov. Si accaniscono, vogliono essere sicuri di non fallire. Li uccidono sul colpo. I 100 giorni da Prefetto di Palermo si concludono così, con lo spegnersi di tre vite e la battaglia contro la mafia che sembra irrimediabilmente perduta. Un passo indietro. Dalla Chiesa arriva a Palermo il 30 aprile, con procedura d'urgenza, poche ore dopo l'uccisione del segretario siciliano del Pci, Pio La Torre. La mafia è al culmine della sua violenza e da anni inonda la Sicilia di vittime. Il teorema sembra semplice. Se il Generale ha ottenuto brillanti risultati contro il terrorismo potrà ottenere gli stessi risultati contro Cosa Nostra. Pur inizialmente riluttante, Dalla Chiesa si convince anche grazie alla promessa governativa di poteri speciali. Il generale sarebbe diventato il super prefetto. Tuttavia di magico e avventuroso c’è poco o nulla nella Sicilia che si presenta dinanzi al Generale Dalla Chiesa che si rende conto ben presto di non essere l’eroe di un fumetto. I super poteri rimangono tali solo sulla carta. Carlo Alberto Dalla Chiesa viene lasciato sostanzialmente solo e si lamenta più volte per la carenza di sostegno da parte dello Stato. La sua frase "Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì" ci racconta molto, forse troppo. Ad Agosto in un intervista con Giorgio Bocca lancia attraverso i media il proprio grido d’allarme denunciando la mancanza di quei poteri speciali tanto promessi, ma mai arrivati da Roma. Un delitto, quindi, che nasce e trova terreno fertile in quel clima di solitudine ed isolamento che altre volte abbiamo visto, prima e dopo. Pochi giorni dopo l’agguato, il 5 settembre, durante i funerali, il cardinale di Palermo Pappalardo pronuncia parole durissime, citando un famoso passo di Tito Livio: " Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si pensa sul da fare, la città di Sagunto viene espugnata. Questa volta non è Sagunto, ma Palermo! Povera Palermo nostra". Al termine dei funerali volano insulti, urla e perfino monetine all'indirizzo dei rappresentanti dello Stato e dei politici. Una reazione fatta di rabbia, orgoglio, indignazione, ma anche molta stanchezza di tanta gente che in quel prefetto aveva riposto la propria speranza. Speranza che nei momenti bui che ciclicamente di ripetono e si ripeteranno, sembra spegnersi. Sembra morire per sempre. Forse era questo lo sconvolgimento provato da quelle mani mentre appendevano il famoso cartello. Ma no, mani tremanti, non ve lo concedo. La speranza, almeno quella, non deve morire mai. 
Luca Fontana

martedì 2 settembre 2014

Morte di J.R.R. Tolkien (2 Settembre 1973)

Il 2 settembre 1973 morì a Bloemfontein, in Sudafrica, J.R.R. Tolkien, ritenuto dagli amanti del genere il “Padre” del fantasy moderno, con opere riconosciute pietre miliari come il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e il Silmarillion che hanno ispirato e continueranno a farlo a lungo molte opere fantasy.
"Guardiamo gli alberi, e li chiamiamo "alberi", dopo di che probabilmente non pensiamo più alla parola. Chiamiamo una stella "stella", e non ci pensiamo più. Ma bisogna ricordare che queste parole, "albero", "stella", erano (nella loro forma originaria) nomi dati a questi oggetti da gente con un modo di vedere diverso dal nostro. Per noi un albero è, semplicemente, un organismo vegetale, e una stella semplicemente una palla di materia inanimata che si muove lungo una rotta matematica. Ma i primi uomini che parlarono di "alberi" e di "stelle" vedevano le cose in maniera del tutto differente. Per loro, il mondo era animato da esseri mitologici. Vedevano le stelle come sfere di argento vivo, che esplodevano in una fiammata in risposta alla musica eterna. Vedevano il cielo come una tenda ingioiellata, e la terra come il ventre dal quale tutti gli esseri viventi sono venuti al mondo. Per loro, tutta la Creazione era intessuta di miti e popolata di elfi”. (J.R.R. Tolkien)
Marco Fontana

lunedì 1 settembre 2014

La tragedia di Beslan (1 Settembre 2004)


Sono passati dieci anni. L’1 Settembre 2004 a Beslan, città dell’Ossezia del Nord, 32 ribelli divisi tra fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occuparono una scuola.
Era il cosiddetto “giorno della conoscenza”, quando i bambini presenziano alla cerimonia di apertura accompagnati da genitori e parenti.
Un giorno di festa che si trasformerà in 72 ore di calvario, terrore e sangue che culmineranno nel pomeriggio del 3 Settembre con un clamoroso spargimento di sangue nel tentativo da parte delle forse speciali russe di liberare gli ostaggi. 
Perderanno la vita 386 persone, tra cui forse dell’ordine, genitori, sequestratori, personale di soccorso, ma soprattutto loro i bambini. 186 per la precisione, gli “Angeli di Beslan”.
Sequestratori armati di bombe, cinture esplosive ed armi automatiche chiusero nella scuola più di mille ostaggi, chi sopravvisse alle sparatorie fu costretto a ricorrere alle cure psicologiche dopo lo shock di quei tre giorni di follia.
Finita la crisi. Come sempre succede, si iniziarono a studiare le possibili colpe, ma a me questo interessa meno, ciò che più conta è ricordare le vittime innocenti che con la politica, la guerra e la violenza non volevano avere a che fare. Mi interessa ricordare le famiglie distrutte e gli “Angeli di Beslan”.
Marco Fontana


domenica 31 agosto 2014

Bentornati...si ricomincia!!!

Eccoci qui.
Ferie finite per tutti, o quasi. L'estate piovosa e fredda che volge al termine pur non essendo (almeno al nord) quasi mai iniziata. Mare, montagna, laghi o città d'arte che sono solo bei ricordi. Tanti mesi di lavoro davanti.
Qualche bella notizia? Certo la riapertura, dopo la pausa estiva, di Mensistoria. In realtà non abbiamo mai veramente chiuso, ma da domani, lunedì 1 Settembre, si riprende a pieno regime con gli articoli giornalieri, quindi ricordatevi cari amici lettori di non fermarvi al titolo e alla foto come avete fatto negli ultimi quaranta giorni.
Con Settembre anche Mensistoria ha tanti bei propositi in testa. Non sappiamo se e quando realizzabili, ma cercheremo di chiarirci le idee al più presto, nel frattempo non vi anticipiamo nulla e proseguiamo come al solito con gli articoli quotidiani.
Vi ricordo ancora che da domani 1 Settembre il blog riapre a tutti gli effetti.
Vi aspettiamo sempre numerosi.
Bentornati.
La Redazione di Mensistoria