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lunedì 30 giugno 2014

La notte dei lunghi coltelli (30 Giugno 1934)

La notte tra il 29 e il 30 giugno del 1934, verso le 4 ebbe inizio quella che è passata alla storia come “la notte dei lunghi coltelli”, l’epurazione nazista dei vertici delle SA (Sturmabteilung) e degli altri oppositori politici di Hitler che fu organizzata per volontà dello Fuhrer che voleva eliminare ogni ostacolo alla propria ascesa al potere.
Quella notte furono massacrati i capi delle SA (Squadre d'Assalto) e gli avversari di Hitler interni al partito stesso, in totale probabilmente più di 400 persone anche se i dati ufficiali parlano di un ottantina, senza contare le persone che verranno deportate nei vari campi di concentramento.
L’operazione fu il risultato di una battaglia politica tra i capi nazisti subordinati a Hitler. Da un lato Josesp Goebbels, Hermann Göring, Heinrich Himmler e Reinhard Heydrich, dall’altro Ernst Röhm, il capo delle SA. Il potere di Röhm, e della sua organizzazione violenta, spaventava i rivali. Goring e Himmler convinsero Hitler di avere le prove che i capi delle SA stessero organizzando un colpo di stato contro il governo del Reich. I due in questo modo poterono sbarazzarsi di molti nemici personali, tanto che si premurarono di compilare una lista dettagliata di tutte le persone da eliminare. 
In verità Röhm rappresentava, assieme a Gregor Strasser, l’ala sinistra del partito nazional-socialista, di tendenze rivoluzionarie più nette e intenzionata a dare una svolta anticapitalista all’economia tedesca. Questo non coincideva con le intenzioni di Hitler, il quale era stato generosamente finanziato sia dagli industriali tedeschi, sia dai grandi finanzieri internazionale, soprattutto americani, con i quali aveva stretto un patto di reciproco interesse. Le istanze sociali del programma presentato da Hitler nel 1920 per ottenere il voto proletario si erano così dissolte.
La “notte dei lunghi coltelli” durò in realtà tre giorni. Il 3 luglio, il governo del Reich approvò la legge sulle misure di autodifesa dello stato, consistente di un singolo articolo che dichiarava semplicemente che le misure prese erano “una legale autodifesa dello Stato”.
Da questo momento nessuno fermò più Adolf Hitler fino al 1945.
Marco Fontana

domenica 29 giugno 2014

L'Iphone (29 Giugno 2007)

Il 29 giugno 2007 la Apple lanciava sul mercato un prodotto destinato a rivoluzionare la nostre vite; nasceva l'Iphone. Fino ad allora il telefono serviva solo per telefonare, poi per mandare i messaggi. Ma da quel 29 giugno di 7 anni fa la nostra vita é cambiata. Nasceva infatti il primo smartphone in pratica un piccolo pc in grado, tra le altre cose, anche di telefonare. Una grande invenzione,sicuramente, che però credo abbia tolto un po' di magia. Ho trent'anni e sono fortunata perchè ho potuto provare le farfalle nello stomaco chiusa in una cabina telefonica, che d'estate era un forno e puzzava, di inverno un congelatore (e puzzava lo stesso) con qualche gettone in mano, e il cuore che esplodeva facendo quel numero (che ovviamente sapevo a memoria) nella speranza che lui rispondesse. Poi è arrivato il telefonino, senza internet, solo telefono e con la possibilità di mandare 160 caratteri di messaggio. Ma allora avevo solo 16 anni, e chi li aveva i soldi? E quindi per far capire ad una persona che la pensavi, ci eravamo inventati gli squillino…fai il numero, uno squillo e metti giù. E il cuore che impazziva aspettando che lui ricambiasse quello squillino. E poi il 29 giugno 2007 tutto cambia: internet sempre a disposizione, i social network che puoi caricare su questo computer portatile e whatsapp che ti dicono esattamente dove si trova lui, a che ora ha guardato il telefono, con chi è etc. Sicuramente sono utili questi smartphone, io stessa ne ho uno, ma ogni tanto rimpiango i tempi in cui stavi in una cabina, sperando che lui ci fosse, senza sapere che si trovava nel luogo x con caio e tizio e che l'ultima volta che ha guardato il cellulare erano le 21.30.04 sec. Rimpiango un po' i tempi in cui, se andavi al bar, parlavi con chi ti stava di fronte, non fotografavi il cibo e poi veloce con il tuo smartphone a far vedere al mondo quello che fai, incapace però di sostenere uno sguardo, una conversazione. Eh giá, si dice che le vere rivoluzioni avvengono in silenzio, e chi lo avrebbe detto 7 anni che quel piccolo apparecchio avrebbe cambiato così tanto le nostre vite? E chi lo avrebbe detto che oggi, io che tanto ho desiderato questo smartphone, in fondo, avrei rimpianto, nonostante tutto, quella cabina telefonica che puzzava?
Caterina Valcarenghi

sabato 28 giugno 2014

Tyson vs Holyfield. Il morso (28 Giugno 1997)

Per gli amanti del pugilato, la cosiddetta “nobile arte”, per gli amanti dello sport la data del 28 Giugno 1997 è rimasta in qualche modo nella memoria.
A Las Vegas si assegna il titolo di Campione del Mondo dei pesi massimi WBA, se lo contenderanno Evander Holyfield, 35enne pugile dell’Alabama, detentore della cintura e Mike Tyson, Iron Mike, 31enne di Brooklyn, da poco tornato a combattere dopo la reclusione in carcere per stupro.
I due si erano già affrontati pochi mesi prima con la vittoria di Holyfield.
Questo incontro non verrà ricordato come il miglior match di boxe della storia, ma sicuramente come quello più folle.
Tyson sapeva che non poteva permettersi di perdere e nello stesso tempo che non era nelle condizioni di vincere.
Perse la testa.
Nel terzo round Iron Mike provò più volte a mordere le orecchie dell’avversario durante il combattimento, riuscendo a amputarne un lobo e a sputarlo a terra. Per l’arbitro dopo due richiami ufficiali fu obbligo decretare la squalifica di Tyson che prima di rientrare negli spogliatoi sotto un fitto lancio di oggetti da parte del pubblico pagante, tentò di aggredire l’arbitro e l’entourage di Holyfield.
Gli verrà revocata la licenza per combattere negli Stati Uniti, anche se dopo qualche anno gli verrà ridata, per Tyson l’incontro di quel 28 Giugno segnò la fine della carriera di pugile e il proseguo di una vita spericolata all’insegna dei guai.
Chiudendo con ironia, possiamo affermare che Tyson quel giorno fece scuola. Un po’ di anni dopo un certo Suarez, calciatore uruguayano, ne emulerà le gesta più volte sul rettangolo verde.
Marco Fontana

venerdì 27 giugno 2014

I moti di Stonewall (27 Giugno 1969)

Il 27 giugno 1969 si verificano a New York una serie di scontri, noti come moti di Stonewall, tra la polizia locale e un folto gruppo di gay. La causa della la sommossa fu l’irruzione della polizia nel bar omosessuale di Stonewall Inn. I poliziotti non erano nuovi ad azioni di questo tipo, negli anni Sessanta bastava un bacio tra appartenenti allo stesso sesso o anche semplicemente il tenersi per mano a far scattare l’accusa di indecenza.
Stavano per svolgersi le elezioni amministrative che vedono in corsa per la poltrona di sindaco John Lindsay. Questi, cerca di attuare una politica di repulisti tra i bar cittadini per accrescere la propria reputazione. Questa è un’ipotesi, l’altra, sostenuta dal vice ispettore Seymour Pine, dice che l’ordine di irrompere gli venne dato perché il bar era considerato uno dei centri in cui fosse possibile reperire informazioni sui gay che lavoravano a Wall Street.
L’irruzione avvenne circa alle 01.20 di notte. La maggior parte degli avventori riuscirono a scappare e finirono in manette solo alcuni dipendenti del locale e qualche cliente. 
Cosa successe dopo non è del tutto chiaro. Pare che la scintilla che diede inizio agli scontro fu il lancio di una bottiglia da della transgender Sylvia Rivera, a sua volta picchiata con un manganello da un agente.
Scoppia così una rissa, che vede costretta la polizia a rifugiarsi nel locale. La folla è composta da quasi 2000 persone che riescono a tenere a bada circa 400 poliziotti. 
Le proteste durano durano tre giorni con un intervallo di cinque giorni tra la seconda e la terza giornata.
Dopo i moti di Stonewall, i movimenti per i diritti dei gay trovarono finalmente un riconoscimento ufficiale eil mese successivo nacque il Movimento di liberazione gay (GLF) con diverse sedi in molti paesi del mondo.
L’anno successivo, viene organizzata una manifestazione in ricordo dei moti del 27 Giugno, fu il primo gay-pride.
Marco Fontana

giovedì 26 giugno 2014

Ich bin ein Berliner (26 Giugno 1963)

“…….Consentitemi di chiedervi, come amico, di alzare i vostri occhi oltre i pericoli di oggi, verso le speranze di domani, oltre la libertà della sola città di Berlino, o della vostra Germania, per promuovere la libertà ovunque, oltre il muro per un giorno di pace e giustizia, oltre voi stessi e noi stessi per tutta l'umanità. La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. Quando tutti saranno liberi, allora immaginiamo -- possiamo vedere quel giorno quando questa città come una sola e questo paese, come il grande continente europeo, sarà in un mondo in pace e pieno di speranza. Quando quel giorno finalmente arriverà, e arriverà, la gente di Berlino Ovest sarà orgogliosa del fatto di essere stata al fronte per quasi due decadi. Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire "Ich bin ein Berliner".
Con queste parole, Il 26 giugno 1963 il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy in visita ufficiale in Germania dell’Ovest conclude il discorso passato alla storia per il celebre passaggio «Ich bin ein Berliner».
Un discorso ricordato come un momento fondamentale della guerra fredda, una manifestazione di grande incoraggiamento morale per gli abitanti di Berlino ovest pochi mesi dopo la costruzione del Muro di Berlino. Parole. Parole forti ed incisive quelle scritte dal grande Ted Sorensen, non solo storica “penna”, ma anche ombra e fonte di ispirazione per JKF, parole che, come sempre, ben assecondano l’arte oratoria del giovane Presidente, risaltandone la capacità di interpretazione, di seduzione, l’arte di far nascere in chi ascolta il puro e semplice desiderio di credere. In un crescendo retorico, con inserti in tedesco “Lass’ sie nach Berlin kommen” e richiami alle radici classiche ed alla potenza simbolica dell’antica Roma, il discorso accolto da una folla in delirio, pigmenta un inno alla libertà universale.
Ampliando il pensiero oltre il discorso Berlinese, la complessità degli scritti di Sorensen per quel grande interprete che fu Kennedy, lasciano l’amarezza di una stupenda opera non compiuta. Per quanto intense e proiettate verso una nuova frontiera, permane il tragico dubbio che queste, come molte altre, rimangano solo parole. Non per mancanza di sincerità, quanto per quel fatale percorso che la storia dell’uomo ha voluto solcare in questi decenni, in cui poco, di ciò che una penna può aver potuto scrivere, una voce può aver lasciato riecheggiare, una mente può aver avuto l’ardire di pensare, si sia potuto realmente avverare. Questo è l’errore. Parole che forse volavano troppo alte per vedersi realizzate nel quotidiano incedere di esistenze mediocri. Io, da amante illuso, vorrei valorizzarne l’importanza andando oltre alla semplice retorica. Un discorso non è solo un insieme di parole indirizzate ad ottenere un applauso, ad essere accattivanti e convincenti. Un discorso può rappresentare un sogno, le parole ne sono la fiamma che per quanto disillusa dal tempo, non si può spegnere.
Luca Fontana

mercoledì 25 giugno 2014

La battaglia di Little Bighorn (25 Giugno 1876)

“Quando un esercito dei bianchi combatte i nativi americani e vince, questa è considerata una grande vittoria, ma se sono i bianchi ad essere sconfitti, allora è chiamata massacro.” (Chiksika)
Il 25 Giugno 1876 nei territori del Montana si consumò la più cocente sconfitta dell’esercito degli Stati Uniti.
Gli avversari erano gente a cavallo, più numerosi, decisamente meno armati, ma assolutamente più risoluta, disposta a morire pur di non mollare e di non sottomettersi al nemico.
Lakota Sioux, Cheyenne e Arapaho, tutti insieme contro il 7° Reggimento di Cavalleria degli Stati Uniti d’America, comandato dal Tenente Colonnello Custer, un uomo in cerca di gloria che però quel giorno, sulla collina di Little Bighorn troverà la morte per se e per quasi tutti i suoi soldati.
Custer sicuramente quel giorno commise degli errori, probabilmente sottovalutò il nemico e la sua vanità non gli permise di ragionare lucidamente, così morirono quasi trecento soldati.
La battaglia di Little Bighorn del 25 Giugno 1876 rimarrà nella storia, anche se segnerà di fatto la fine dei nativi americani liberi, perché dopo la sconfitta la rappresaglia dell’esercito statunitense non si farà attendere e sarà solo questione di qualche anno, ma per gli Indiani d’America non resterà che vivere nelle riserve, senza una vera libertà.
Come cita la frase che ho scritto all’inizio, spesso una battaglia viene descritta diversamente a secondo dei punti di vista dei combattenti. Per gli americani quella di Little Bighorn fu un massacro da parte di belve assetate di sangue, per gli Indiani fu una storica vittoria che diede loro qualche tempo di gloria.
Marco Fontana

martedì 24 giugno 2014

Nasce l'Alfa Romeo (24 Giugno 1910)

Il 24 Giugno 1910 viene fondata a Milano uno dei marchi più importanti dell’economia italiana, l’ALFA.
L’acronimo che sta per Anonima Lombarda Fabbrica Automobili venne dato da un gruppo di imprenditori lombardi che acquisirono la Società Italiana Automobili Darracq in liquidazione.
Da quel giorno inizia una lunga storia di successi che prosegue ancora oggi.
Per alcuni anni si chiamerà solo Alfa, fino a quando nel 1918, l’ingegnere e imprenditore Nicola Romeo acquisterà la società che diverrà l’Alfa Romeo.
Pochi mesi dopo la sua nascita l’azienda lancerà sul mercato il primo modello di autovettura, l’Alfa 24 HP che ebbe subito un grosso successo.
Nel dopo guerra del I conflitto mondiale e negli anni Venti l’Alfa Romeo passò un periodo di poco profitto, acuitosi con la grande crisi finanziaria del 1929, così nel 1933 lo Stato Italiano decise di rilevare le quote della società che appartenevano alle banche. L’azienda divenne così statale e rimase tale fino al 1986 quando verrà venduta al gruppo Fiat.
La storia dell’Alfa Romeo sarà, a livello di vendite, fatta di continui alti e bassi, ma da dagli anni Cinquanta inizierà la produzione di materiale rotabile, mezzi pubblici, veicoli commerciali, motori aeronautici e motori marini, nonché una serie di vetture da competizione per la Formula 1 e i rally.
Fin dalle sue origini lo stemma dell’Alfa Romeo, anche se alcune volte nella storia si è leggermente modificato, è stato composto da due parti: lo stemma di Milano (croce rossa su sfondo bianco) e il serpente visconteo, il cosiddetto Biscione.
“Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello” (Henry Ford)
Marco Fontana

lunedì 23 giugno 2014

Primo numero del "Manifesto" (23 Giugno 1969)

Il 23 Giugno 1969 esce il primo numero de Il Manifesto, edito da Edizioni dedalo e diretto da Lucio magri e Rossana Rossanda.
Inizialmente ideato come rivista politica mensile e successivamente divenuto quotidiano (1971), nato dalla parte “di sinistra” del partito comunista, appoggiato da Pietro Ingrao, alle origini fu osteggiato dai moderati che ne volevano la chiusura.
Il Manifesto non è mai stato un vero e proprio giornale di partito, seppur nato e vissuto sempre nell’ideologia di sinistra.
Nel corso degli anni grandi firme hanno collaborato con questo quotidiano, ottimi e ficcanti vignettisti, tra cui Vauro hanno punto sul vivo i lettori con i loro disegni.
Purtroppo la crisi economica si è abbattuta anche sul Manifesto, che ha seriamente rischiato la chiusura, per ora scongiurata, e causato una diaspora di giornalisti importanti.
Comunque uno la pensi politicamente il Manifesto fa parte di quelle prime pagine che tutte le mattine vediamo in edicola. Oggi compie 45 anni, gliene auguro ancora moltissimi.
Marco Fontana

domenica 22 giugno 2014

La scomparsa di Emanuela Orlandi (22 Giugno 1983)

Il 22 Giugno 1983 una ragazza di 15 anni scompare misteriosamente mente torna dalla scuola di musica che frequenta.
Non la si troverà mai più. Ancora oggi non ci è dato sapere se la ragazza (ormai donna adulta) sia viva o morta, se sia nascosta, se sia scappata volontariamente o tenuta prigioniera da qualcuno.
Sto parlando di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, che quel 22 Giugno di 31 anni fa scomparve dando vita ad uno dei misteri più fitti della storia della cronaca nera italiana.
Inizialmente si pensò ad un allontanamento volontario da casa da parte di una adolescente, ma ben presto il mistero coinvolse lo Stato Vaticano, lo Stato Italiano, lo IOR, la Banda della Magliana, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di diversi paesi.
Ma andiamo con ordine.
L’ultimo contatto di Emanuela con la famiglia risale alle ore 19 di quel giorno, quando telefonò a casa, parlando con la sorella, menzionando una offerta di lavoro appena ricevuta (vendita di cosmetici) da parte di un uomo alla guida di una berlina verde. Un offerta strana, molto allettante, forse troppo.
Raffaella Monzi, una compagna di Emanuela, la vide per ultima, alla fermata di un autobus dove la lasciò circa alle 19.30. La Monzi riferirà agli inquirenti che dal finestrino dell’autobus vide Emanuela parlare con una donna dai capelli rossi, che però non verrà mai identificata.
I genitori non vedendola tornare a casa diedero l’allarme e la mattina seguente venne formalizzata la denuncia di scomparsa e sui quotidiani venne pubblicata una fotografia della ragazza con i recapiti telefonici.
Da questo momento il mistero della scomparsa si intreccia con telefonate anonime, depistaggi, annunci, messaggi, speranze e delusioni che si protrarranno per anni, forse per sempre.
Arriva il momento di “Pierluigi” e “Mario”. Due ignoti che telefonarono a casa Orlandi dando notizie di un possibile avvistamento della ragazze, condite con affermazioni che dimostravano una certa conoscenza di Emanuela, senza però mai dare tracce concrete per un suo ritrovamento.
I due uomini non furono mai rintracciati, il secondo, con un forte accento romanesco, pin seguito verrà collegato alla Banda della Magliana.
Le prime indagini condotte dalla polizia e da un amico di famiglia degli Orlandi, Giulio Gangi, collaboratore del SISDE non portarono a nulla.
Domenica 3 Luglio Papa Giovanni Paolo II, durante l’Angelus, rivolgerà un appello ai rapitori di Emanuela.
Fino a quel momento ufficialmente non si era mai parlato di sequestro, ma d’ora in poi le cose cambiano.
Da questo momento partono diverse piste, incredibili e imbarazzanti, che desteranno molti dubbi nell’opinione pubblica senza però arrivare mai alla verità..
La pista legata al precedente attentato al Papa, ai Lupi Grigi di cui faceva parte Ali Agca, alle telefonate del “Amerikano”, ai servizi segreti dell’est (Stasi) e al Vaticano.
La pista legata allo IOR, con l’idea che l’Amerikano fosse Marcinkus, l’allora presidente della Banca Vaticana, con collegamenti al caso Calvi e al crack del banco Ambrosiano (il padre di Emanuela sarebbe stato a conoscenza di riciclaggio di denaro sporco).
La pista che portava a possibili collegamenti con la Banda della Magliana, organizzazione criminale che imperversava all’epoca nella Capitale, specialmente a Enrico De Pedis, boss della banda. Questa indagine porterà alla riesumazione della salma di De Pedis nel 2012 con la speranza, vana, di trovare qualche prova nella bara. La banda della Magliana sarebbe comunque collegata anche alla precedente pista, dati i rapporti col caso Calvi.
Si è parlato anche di teorie di incontri sessuali con cariche del Vaticano o pratiche di pedofilia sempre con esponenti vaticani di mezzo nelle quali la ragazza sarebbe morta tra le mura stesse della città e poi fatta sparire.
Siamo nel 2014, Emanuela se fosse viva (come molti sostengono, tra cui anche Ali Agca) avrebbe 46 anni.
I suoi famigliari ancora sperano di vederla tornare, di poterla riabbracciare.
Probabilmente è morta, probabilmente il mistero della sua scomparsa non verrà mai svelato, ma una cosa è certa: qualcuno sa, ma non ha mai voluto parlare.
Marco Fontana

sabato 21 giugno 2014

La resa francese a Compiegne (21 Giugno 1940)

Il 21 Giugno 1940, alle 15.30 la delegazione francese di armistizio, composta dai generali Huntziger, Parisot e Bergeret, dal vice ammiraglio Laluc e dall’ambasciatore Noel si presenta alla foresta di Compiegne per trattare la resa.
Era la cosiddetta delegazione Huntziger, che aveva attraversato la Francia, in mezzo a morte e distruzione, per arrivare a firmare un armistizio che l’avrebbe vista sottomessa alla Germania Nazista.
Fu Hitler stesso che decise il luogo. La foresta di Compiegne, in un vagone ferroviario fatto posizionare apposta per l’evento. Il vagone del maresciallo Foch, che da più di 20 anni era diventato museo, perché in quel vagone l’11 Novembre 1918, in quello stesso punto della foresta, fu firmato l’armistizio che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, che vedeva i tedeschi sconfitti dai francesi.
Per Hitler quindi quel 21 Giugno 1940 (la firma in realtà verrà posta il giorno successivo) si compiva una vendetta. Era motivo di orgoglio vedere una delegazione francese arrivare a testa china negli stessi luoghi di allora.
Il tutto per i tedeschi aveva un forte significato simbolico e costringeva i francesi ad una doppia sconfitta.
Era presente la stampa internazionale, la radio tedesca descriveva in diretta la cerimonia. Tutto in pompa magna.
Dal giorno dopo il territorio francese venne diviso in due parti, quella settentrionale e le coste atlantiche occupate militarmente dalla Wehrmacht, quella centro-meridionale restò invece sotto il controllo di un nuovo governo francese formalmente indipendente dai tedeschi. I territori dell’Alsazia e Lorena, annessi dalla Francia dopo la fine della prima guerra mondiale, furono di fatto riannessi alla Germania, sebbene ufficialmente fossero sotto occupazione militare come il resto della Francia del Nord.
I vinti era costretti a sottostare a numerose e dure restrizioni e condizioni.
La Francia sarà occupata dai nazisti fino al 26 Agosto 1944, quando Parigi verrà liberata e sulla Tour Eiffel tornerà a sventolare il drapeau tricolore
Marco Fontana

venerdì 20 giugno 2014

Il Giuramento della Pallacorda (20 Giugno 1789)

Quando Marco, ops pardon, il Sig. Fontana, caporedattore autoeletto, mi ha inviato i temi da trattare questo mese, devo ammetterlo, ho avuto un attimo di sconforto. Ho quindi cercato di evitarli, ma, non vigendo una democrazia all’interno della nostra redazione, alla fine ho accettato, mio malgrado, di scrivere questo articolo sul giuramento della Pallacorda. Mi trovavo nel cortile dell’ospedale Niguarda quando ho ricevuto la mail che mi confermava l’argomento; con fare aggraziato e voce vellutata, parlavo con una mia amica dicendo che a malapena riuscivo a collocare tale avvenimento sulla linea temporale. Qualche kilometro più in là (chiunque mi conosca sa esattamente il tono di voce appena udibile che uso normalmente), un signore si avvicina (scoprirò qualche ora più tardi, durante la sua visita, che giocava in casa essendo un insegnante di storia) e inizia a parlarmi, dicendo che non capivo granché di storia (spero non abbia detto la stessa cosa sulla medicina dopo la visita!), perché parlare del giuramento della Pallacorda voleva dire parlare della libertà e della nostra civiltà. Questa cosa mi ha incuriosito e, partendo da una frase che mi ha detto lui (“quando studi la storia prova a metterti nei panni di chi l’ha vissuta”) ho provato a capire cosa ci fosse di bello..e questo è quello che ho capito..
Immagina un poco: siamo nell’anno 1780, tu, francese, che abiti a Parigi, sei cresciuta con l’idea che il re, in fondo, ha sempre ragione. Sei abituata all’idea che i nobili e il clero vivano senza pagare le tasse sulla pelle dei cittadini (scusate la vena polemica, ma che cosa è cambiato dopo oltre 200 anni??), sei abituata all’idea che non esiste meritocrazia, sei abituata a fare la fame e sai che nulla può cambiare perché il mondo è andato e sempre andrà così. Vivi in mezzo alla sporcizia, ai topi, le norme igieniche non sai nemmeno cosa sono; la giustizia è amministrata da quelle stesse persone che vivono sulle tue spalle e a cambiare non ci pensano proprio (Quis custodiet ipsos custodes?) e chi ti dovrebbe parlare di Dio e di un mondo più giusto, ti racconta (perché Dio sarà anche misericordioso, ma gli esseri umani anche con la tonaca rimangono esseri umani) che in fondo più soffri, meglio è, che la tua vita è lo specchio dei peccati che commetti e che, se non dai un soldino alla chiesa, brucerai all’inferno per sempre. Passano gli anni, le cose non migliorano, anzi: quella crisi iniziata sotto re Luigi XIV (si il re Sole di Versailles), ha raggiunto livelli mai visti. Ormai la Francia è al collasso e il re, Luigi XVI, marito di Maria Antonietta, non sa più dove sbattere la testa (alla fine i francesi gliela metteranno letteralmente in una cesta di vimini): convoca gli stati generali, una farsa in cui i rappresentanti dei tre stati (nobiltà, clero e terzo stato) devono raggiungere un accordo per risolvere la crisi. Ora tu sai che il terzo stato non la spunterà mai; infatti, nonostante rappresenti la stragrande maggioranza della popolazione, il suo voto vale 1, come quello degli altri due che rappresentano uno sputo rispetto alla popolazione generale. Ovvio è che le proposte del terzo stato vengono tutte boicottate (una fra tutti tassare TUTTE le fasce della popolazione, non solo il popolo..ovvio che gli altri due mica sono scemi. Vivono da nababbi sulle spalle dei poveracci e votano una legge che li costringe a lavorare???) e l’assemblea, dopo 6 settimane, viene sciolta con il pretesto che la sala deputata all’assemblea è da ristrutturare (guarda un poco i casi della vita, proprio in quei giorni deve essere restaurata!!!!). Solo che nel 1789 qualcuno non ci sta. Un certo Joseph-Ignace Guillotin (medico francese a cui riuscirono tre cose nella vita: - estendere la pena capitale a tutte le classi sociali – Spostare l’assemblea del terzo stato nella sala della pallacorda – inventare, o meglio rendere più efficace ed umana affilando e tagliando la lama a mezzaluna, la ghigliottina che da lui prende il nome e che proverà lui stesso sul suo collo durante il terrore) propone al terzo stato di continuare l’assemblea nella sala adibita a palestra. E’ il 20 giugno 1789 e il terzo stato giura in questa sala che non scioglierà l’assemblea fino a che non sarà scritta la costituzione francese su fondamenta solide. Per la prima volta in tutta la tua vita, tu francese, hai qualcuno che si ribella al re, al monarca assoluto e capisci che non è la fine del mondo. Capisci, per la prima volta, che il numero è forza, che se tante persone si riuniscono, beh allora qualcuno ti deve ascoltare, è costretto a sentire i tuoi pensieri. Per la prima volta il mondo forse sta per cambiare. E’ in quel giuramento e in quella sala che si pongono le basi per i tre principi della rivoluzione francese che inizierà ufficialmente il 14.07.1789 con la presa della Bastiglia.. Ma questa è un’altra data e per noi un’altra storia…che son sicura il mio caporedattore deciderà di far scrivere a qualcun altro, anche se vorrei farlo io, perché lui ancora non ha capito di non essere esattamente il Re Sole.
Caterina Valcarenghi

giovedì 19 giugno 2014

La Statua della Libertà entra a New York (19 Giugno 1985)

Il 19 giugno del 1885 la Statua della Libertà fece il suo primo ingresso nel porto di New York.
Sul fiume Hudson al centro della baia di Manhattan, sulla rocciosa Liberty Island, è sempre li, pronta ad accogliere milioni di visitatori ogni anno.
Una donna con una toga che regge nella mano destra una fiaccola, simbolo della libertà, e nella sinistra un libro con la data del 4 Luglio 1776, giorno dell’Indipendenza Americana. Ai piedi ci sono delle catene spezzate che simboleggiano la liberazione dal potere straniero e in testa si appoggia una corona a sette punte, i Sette Mari.
Acciaio, rame e una basamento in granito. Progettata da Frédéric Auguste Bartholdi e costruita da Gustave Eiffel (lo stesso dell’omonima Tour Eiffel), i lavori durarono poco più di un anno.
La statua arrivò a New York in 1883 casse e quindi fu assemblata nella baia. Fu un dono dei francesi agli americani in segno di amicizia.
In realtà quella di New York è una copia della prima Statua della Libertà (non il contrario come molti credono), che si trova a Parigi, sulla Senna.
Arrivando a Liberty Island col battello la figura della Statua della Libertà che sovrasta il cielo toglie assolutamente il fiato.
Un simbolo di New York, un simbolo degli Stati Uniti d’America, un simbolo di Libertà.
Marco Fontana

mercoledì 18 giugno 2014

La battaglia di Waterloo (18 Giugno 1815)

8 ore di combattimento, quasi 40000 persone tra morti e feriti. E’ il 18 Giugno 1815, siamo nel territorio belga del villaggio di Mont Saint Jean, stiamo parlando della battaglia di Waterloo.
L’esercito francese guidato da Napoleone contro le truppe britanniche e prussiane dirette rispettivamente da Duca di Wellington e dal feldmaresciallo Gebhard Leberecht von Blücher.
Una grande battaglia che segnerà la fine di Napoleone che, sconfitto, verrà esiliato sull’isola di Sant’Elena dove morirà sei anni dopo.
Napoleone era convinto di vincere, ma fin dai primi attacchi i britannici si rivelarono un avversario tenace, ostinato nella difesa e in grado di prolungare i combattimenti senza disgregarsi; inoltre ben presto i prussiani attaccarono le truppe napoleoniche dalla destra.
La strategia di Napoleone era stata infatti quella di dividere i suoi avversari e affrontarli separatamente, ma dalle prime ore del pomeriggio i francesi dovettero invece combattere anche con le colonne prussiane. 
Uno dei fattori decisivi per l'esito finale della battaglia fu la pioggia torrenziale notturna che costrinse i francesi a non poter sferrare l’attacco alle prime ore dell’alba come era nell'intento di Napoleone, inoltre uno dei punti di forza di Napoleone era nell'artiglieria, ma il terreno di battaglia era ridotto a un pantano tale da ridurre drasticamente l'efficacia dei cannoni. Per attendere che il terreno assorbisse almeno un po' d'acqua, l'attacco non fu sferrato che verso mezzogiorno. Questo ritardo comportò che l'esercito prussiano giunse sul campo in tempo per decidere le sorti lungamente in bilico dello scontro.
Una delle più grandi battaglie della storia, la fine di uno dei più grandi condottieri della storia. Il 18 Giugno 1815 rimarrà sempre una data indimenticabile.
Marco Fontana

martedì 17 giugno 2014

Chi ha suicidato Calvi? (17 Giugno 1982)

Il 17 Giugno 1982 il banchiere Roberto Calvi morì, in circostanze ancora oggi non del tutto chiarite, a Londra, per la precisione sotto il Blackfriars Bridge (Ponte dei Frati Neri), sul Tamigi.
Lo trovarono penzolante con una corda intorno al collo, dei mattoni nelle tasche, 15000 dollari addosso e un passaporto con le generalità modificate in “Gian Roberto Calvini”.
Calvi si impiccò o venne impiccato?
Per provare, senza riuscirci, a chiarire la storia, bisogna tornare indietro di alcuni anni, al 1975.
Il giovane Calvi, grazie alle amicizie e al potere della famiglia scalò in pochi anni i vertici del Banco Ambrosiano e nel 1975 ne divenne presidente. Carica che sfruttò per lanciare prepotentemente il banco Ambrosiano nella grande finanza internazionale, grazie a speculazioni finanziarie, intrecci e amicizie con politica, criminalità organizzata e loggia massonica P2, nella quale entrerà a fare parte poco tempo dopo, conoscendo Licio Gelli (capo, o meglio Maestro Venerabile della P2) grazie ai rapporti con Michele Sindona (banchiere, faccendiere, ma soprattutto criminale, associato alla mafia e successivamente condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio Ambrosoli).
Amicizie poco raccomandabili insomma per il povero banchiere.
Creò una rete di società fantasma in paradisi fiscali intrecciate con la banca vaticana, lo IOR, e comprò diverse banche all’estero e su richiesta del Vaticano finanziò paesi per contrastare l’espandersi di ideologie filo-marxiste, grazie a questo assunse il soprannome di “Banchiere di Dio”.
Nella sua carriera lavorativa di nemici se ne è creati molti, ma non ci fece caso finchè tutto procedeva a gonfie vele.
Nel 1977 il castello di carte di calvi iniziò a crollare. Il Banco Ambrosiano iniziò una crisi senza fine, che Calvi provò a tamponare con tangenti ai politici, richieste di aiutò alla criminalità italiana (mafia e banda della Magliana) o allo IOR, che però gli negò una mano dati i crimini che stavano venendo a galla.
Il 9 Giugno Calvi, disperato, iniziò una fuga all’estero, capendo che le possibilità di salvarsi dalla galera erano ormai ridotte a nulla.
La fuga durerà poco. Il 17 Giugno morirà impiccato sotto un ponte.
Suicidio o messinscena? Le tracce sulla scena del crimine fanno pensare all’omicidio, ma mandati ed esecutori non sono mai stati condannati.
Marco Fontana

lunedì 16 giugno 2014

Il giorno dell'Ulisse di James Joyce (16 Giugno 1904)

La vicenda si svolge a Dublino, Irlanda; il romanzo narra tutto ciò che accade fra le otto del mattino e le due di notte del 16 giugno 1904 ai tre protagonisti del racconto: l'ebreo Leopold Bloom, la moglie Molly e il giovane Stephen Dedalus.
A Leopold è morto il figlio, ora cerca qualcuno che ne possa, per quanto possibile, prendere il posto. Stephen, invece, cerca una figura paterna, a cui affidarsi, con cui confidarsi e di cui fidarsi, fino in fondo. Sono queste due aspirazioni che fanno della coppia Leopold-Stephen, una sorta di coppia genitore-figlio, che, per rifarsi alle opere di Omero, va ricondotta alla figurazione epica Ulisse-Telemaco, con sullo sfondo Molly, che può essere paragonata a penelope, la moglie dell’eroe greco.
Progettato a Roma come semplice novella da inserire in Gente di Dublino, l'originario spunto dell'Ulisse si ampliò ben presto in un disegno più ambizioso, che condusse Joyce a scrivere (dopo una stesura durata dal 1914 al 1919 circa e una successiva revisione) uno dei romanzi più importanti dell'intero Novecento. L'opera fu pubblicata a Parigi nel 1922.
Si comincia con l'inizio della giornata di Stephen, giovane letterato in crisi. Alle sue vicende s'intrecciano presto quelle, spesso banali, che capitano all'agente di pubblicità Leopold Bloom.
Romanzo sperimentale per definizione, Joyce adotta la particolare tecnica narrativa del monologo interiore.
Romanzo con una struttura molto complessa, che richiama l'Odissea di Omero. Più di mille pagine divise in 18 episodi che si dispongono in 3 grandi sezioni: le avventure di Stephen-Telemaco, quelle di Ulisse Bloom e il ritorno di Ulisse Bloom a Itaca. L’eroe di Joyce è un antieroe; il suo viaggio nella vita non approda ad alcuna meta; anzi, quel percorso è accompagnato da continui insuccessi e da una costante disperazione.
Fra i temi ricorrenti del racconto emergono l'esilio, la fallita ricerca della paternità, l'instabilità di tutte le cose, la crisi della storia moderna.
La sola giornata in cui si svolgono gli avvenimenti narrati dall'autore irlandese è un'odissea di persone normali. E di mitico c'è la loro vita quotidiana. Sono loro i nostri eroi.
“Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini, ma sempre incontrando noi stessi” (James Joyce, da Ulisse)
Marco Fontana

domenica 15 giugno 2014

Cimitero Nazionale di Arlington (15 Giugno 1864)


Il 15 Giugno 1864, tre anni dopo la sua costruzione, il Cimitero Nazionale di Arlington venne ufficialmente designato come cimitero militare dal segretario alla guerra Edwin M. Stanton. Da allora più di 300000 persone sono state sepolte in questo cimitero.
Sito ad Arlington, in Virginia, proprio di fronte a Washington D.C., sull’altra sponda del fiume Potomac, vicino al Pentagono, sul terreno vicino a quella che fu la casa del Generale Lee durante la guerra di Secessione, periodo in cui il cimitero fu costruito. 
Ci sono stato l’anno scorso durante il viaggio negli States in cui ho fatto tappa a New York e Washington. 
Impressionante. Emozionante. Una distesa interminabile di lapidi di veterani di tutte le guerre americane, da quella di Indipendenza agli attentati del 2001, passando per i due conflitti mondiali, la guerra di Corea, del Vietnam e del Golfo. 
Un emozione così l’ho vissuta solo al cimitero di Colleville sur Mer, in Normandia (celebre per la scena del film “Salvate soldato Ryan”). 
Un silenzio irreale ti accompagna mentre passeggi per i vialetti di Arlington. 
Punti forti, dove i turisti si assiepano costantemente sono la Tomba dei Militi Ignoti e, ovviamente, le lapidi del Presidente John Fitzgerald Kennedy e della moglie Jacqueline con la fiamma perpetua che brucia, l’isolata tomba del fratello del Presidente, Robert Kennedy e, più distante, il monumento agli eroi di Iwo Jima.
Marco Fontana


sabato 14 giugno 2014

La morte di Giacomo Leopardi (14 Giugno 1837)

Quando muore il 14 Giugno del 1837 Giacomo Leopardi è un uomo minato dalle malattie. Il suo fisico gracile seppur ancora giovane non riusciva più da tempo a difendersi, ma la sua mente ed il suo cuore ci hanno lasciato in regalo poesie, pensieri, opere filosofiche come poche volte ci è dato il permesso di ricordare. Si tende a definire Giacomo Leopardi come un poeta, un filosofo, in definitiva un uomo, pessimista. E’ vero. La famosa teoria “del pessimismo cosmico”, architrave del suo pensiero e delle sue opere, è riscontrabile con tutta l’evidenza possibile da certo periodo della propria vita, quando i mali che lo affliggevano diventarono sempre più opprimenti con il progressivo aggravarsi delle condizioni di salute. Il pessimismo Leopardiano è strettamente legato come in un indissolubile matassa ad una precedente produzione filosofica che si sostanzia nella “teoria del piacere”. Nel corso della propria vita l'uomo tende a ricercare “il piacere” che per Leopardi è sinonimo di un piacere infinito teso soddisfare desideri illimitati che l’immaginazione, e solo essa, ammaliatrice e crudele come la natura, regala come mere illusioni. Un piacere non conseguibile durante l’esistenza di un uomo in cui nasce e cresce un senso di insoddisfazione perenne che ne pervade la vita. Così come il piacere non è conseguibile, la sofferenza non è evitabile in quando veicolo necessario e implacabile con cui l’uomo è costretto a convivere proprio nel vano tentativo di inseguire l’illusoria felicità. La causa dell'infelicità umana è data dal contrasto tra il bisogno dell'individuo di essere felice e l’impossibilità di esserlo. La teoria del piacere emerge nitida e accogliente in uno dei canti, che è tra i miei preferiti.
“Il Sabato del villaggio” Il canto descrive la vita di un paese il sabato pomeriggio con gli abitanti impegnati nei preparativi per la domenica , il giorno di festa che tutti pregustano. Tutti i protagonisti trepidano per il riposo del giorno seguente, ma sbagliano. Il poeta chiarisce che in realtà è proprio il sabato è il giorno più bello della settimana, con i suoi preparativi, la sua attesa. L’attesa del piacere che è essa stessa piacere, anzi è il vero e unico piacere conseguibile. La domenica non porterà con se la gioia tanto attesa, ma porterà infiniti momenti di noia, in cui tutti, tristemente, penseranno agli impegni della settimana seguente. Traslando i versi dalla domenica all’età adulta Leopardi ci ricorda che essa, tanto desiderata durante la giovinezza, regalerà al’uomo dolore, infelicità e delusioni.

La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio dell'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni dell'età più bella.
G ià tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giù da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
(G. Leopardi, 1829)

Luca Fontana

venerdì 13 giugno 2014

Prima Coppa Campioni: Real Madrid! (13 Giugno 1956)

Il 13 Giugno 1956 allo stadio Parco dei Principi di Parigi venne assegnata la prima Coppa dei Campioni di calcio.
La massima competizione continentale dello sport più popolare nacque proprio nella stagione 1955/1956, partecipavano solo 16 squadre, designate dalle federazioni nazionali (per l’Italia partecipò il Milan).
Il 13 Giugno la finale vide confrontarsi il Real Madrid, squadra della capitale spagnola, e lo Staid Reims, compagine dell’omonima cittadina francese.
Le Merengues vinceranno la prima edizione della coppa e le successive quattro. Cinque titoli consecutivi.
Il 13 Giugno 1956, la finale inizierà male per la squadra allenata da Josè Villalonga Llorente, che andrà in svantaggio per 2-0. Al quattordicesimo la “Saeta Rubia” (Freccia Bionda), questo era il soprannome di Alfredo Di Stefano lanciò la rimonta del real che alla fine si impose per 4-3 e alzò al cielo la prima Coppa dei Campioni.
Ad oggi il Real Madrid è la squadra con più Coppe Campioni (oggi Champions League) vinte, proprio pochi giorni fa si è aggiudicato la Decima.
Una storia di vittorie iniziata 58 anni fa, a Parigi.
Marco Fontana

giovedì 12 giugno 2014

Anna Frank. Un regalo speciale: il Diario (12 Giugno 1942)

"Spero di poterti confidare tutto, 
come non ho mai potuto fare con nessuno, 
e spero che mi sarai di grande sostegno. (Anna Frank 1942)
"Venerdì 12 giugno ero già sveglia alle sei: si capisce, era il mio compleanno! Andai da papà e mamma e poi nel salotto per spacchettare i miei regalucci. Il primo che mi apparve fosti tu, forse uno dei più belli fra i miei doni". 
Kitty é il nome che attribuisce al suo diario, un'amica segreta a cui raccontare emozioni,paure... 
È il 14 giugno 1942, la piccola Anna Frank scrive la sua prima pagina di quello che sarebbe 
divenuto un simbolo della Shoah, il diario più letto al mondo che avrebbe ispirato diverse opere teatrali e film. 
Annelies Marie Frank, detta Anne, nome italianizzato in Anna Frank, è una ragazza di 13 anni, di origine ebrea. Seconda figlia di Otto Heinrich Frank (12 maggio 1889 - 19 agosto 1980) e di sua moglie Edith Frank (16 gennaio 1900 - 6 gennaio 1945), apparteneva ad una famiglia benestante di patrioti tedeschi che prestarono servizio durante la Prima guerra mondiale. 
In seguito alle leggi razziali emanate da Hitler, nel 1933 la famiglia Frank si trasferisce ad Amsterdam.
È il 1940 i nazisti invadono l'Olanda e, per gli ebrei, iniziano tempi amari.
Il 6 luglio 1942 Anne è costretta a nascondersi con la famiglia in un alloggio segreto, un piccolo spazio a due piani, nella Prinsengracht 263, il cui ingresso era nascosto da uno scaffale girevole, contenente alcuni schedari. A loro si aggiunsero altri rifugiati.
"Non poter mai andar fuori mi opprime indicibilmente, e ho una gran paura che ci scoprano e ci fucilino. Non è certo una prospettiva piacevole. Di giorno bisogna camminare piano piano e parlare a bassa voce, perché nel magazzino potrebbero udirci."
"Ieri mi sono terribilmente spaventata. Alle otto, un'improvvisa e forte scampanellata. Ebbi un solo pensiero, che stessero venendo; chi, lo sai bene. Ma quando tutti sostennero che era stato qualche ragazzaccio, oppure il postino, mi tranquillizzai. Le giornate qui diventano terribilmente monotone"
Giorno dopo giorno, pagina dopo pagina il diario di Anna diventa una cronaca preziosissima di quei tragici due anni lasciata ai posteri. Si tratta di una descrizione minuziosa di stralci di vita di due famiglie costrette a convivere in pochi metri quadrati di spazio, i caratteri di ognuno di loro, le piccole manie, gli scontri, la paura di essere scoperti ed uccisi.
"La cosa più bella per me rimane poter scrivere quello che provo e quello che penso, altrimenti soffocherei del tutto".
Il primo agosto Anna scrive l'ultima pagina del suo diario. Venerdì 4 agosto 1944, la polizia tedesca, fa irruzione nell'ufficio e nell'alloggio segreto, grazie ad una soffiata: tutti i rifugiati ed i loro soccorritori vengono arrestati. 
Il 3 settembre 1944, dal campo di Westerbork, parte l'ultimo convoglio di deportati per il campo di sterminio di Auschwitz (oggi Oswiecim, Polonia). 
Nel mese di febbraio le Frank furono colpite dal tifo: Margot morì per prima, Anna morì il giorno dopo. Poche settimane dopo le truppe Alleate liberarono il campo di prigionia. 
Il 27 gennaio 1945 i soldati russi liberano il campo di concentramento di Auschwitz. Otto Frank è uno dei 7650 prigionieri ancora in vita. Pesa appena 52 chili mentre nell’Alloggio segreto ne pesava 70. 
"Erano brave persone. Non c’importava che fossero comunisti. Non avevamo alcun interesse per la politica, per noi contava soltanto essere liberi." 
Mimma Sternativo

mercoledì 11 giugno 2014

La Guerra di Troia. Tra Mito e Storia (11 Giugno 1184 a.C.)

"Il ratto di Elena" del Tintoretto
Tutti noi a scuola abbiamo studiato l’Iliade e l’Odissea, poemi di Omero, il primo narrante le fasi finali della Guerra di Troia, il secondo il complicato ritorno di Ulisse a Itaca, dopo la fine della guerra.
Una cosa non è mai stata chiara. Dove finiva l’immaginazione di Omero, la mitologia Greca e dove iniziava la Storia? Quanti e quali personaggi sono davvero esistiti e soprattutto, c’è mai stata la guerra tra Troiani e Greci per il controllo dell’Ellesponto? Se è avvenuta davvero, come probabile, cosa c’è di vero nei racconti che ci sono stati fatti tra i banchi di scuola?
Tutte domande a cui è difficile, anzi impossibile dare una risposta.
Ancora oggi non sappiamo nemmeno per certo le date della Guerra di Troia.
La tradizione mitologica Greca attribuisce all’ 11 Giugno 1184 a.C. lo scoppio della guerra, avvenuta a causa del rapimento di Elena, considerata la donna più bella del Mondo, moglie di Menelao, Re di Sparta (o meglio di Lacedemone, diverrà Sparta in seguito) da parte di Paride, figlio di Priamo, Re di Troia.
La guerra durerà 10 lunghi anni. Achille, Agamennone, Menelao, Ettore, Paride, Priamo, Ulisse e molti altri personaggi intrecceranno le loro storie, tra amori e battaglie, tra coraggio e paura, fino al celebre cavallo di troia, ideato da Ulisse, che chiuderà la guerra.
Sempre se guerra è stata, sempre se quel 11 Giugno 1184 a.C. qualcuno ha davvero rapito una donna.
Marco Fontana

martedì 10 giugno 2014

Rapimento e morte di Giacomo Matteotti (10 Giugno 1924)

“ Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”
Questa fu la frase che Giacomo Matteotti rivolse ai suoi compagni di partito subito dopo aver terminato il celebre discorso alla Camera dei Deputati in cui contestò il risultato delle recenti elezioni e accusò il parto fascista di violenze, abusi e illegalità per assicurarsene la vittoria.
Matteotti sapeva che non gliela avrebbero fatta passare liscia, sapeva che quelle parole, in cui lui credeva fortemente, gli avrebbero portato problemi, probabilmente addirittura la morte.
Fu così.
Passarono pochi giorni, il 10 Giugno 1924, verso le 16 del pomeriggio, il deputato socialista si stava recando a Montecitorio percorrendo il lungoTevere quando quattro uomini appartenenti alla polizia politica lo aggredirono e lo caricarono su una macchina, una Lancia Kappa, portandolo a tutta velocità verso la periferia della Capitale.
Matteotti cercò di combattere, di reagire. All’interno del veicolo si dimenò e riuscì a gettare dal finestrino il suo tesserino da parlamentare che verrà ritrovato presso Ponte Risorgimento.
I rapitori faticavano a tenere a bada il deputato e così lo accoltellarono a morte e, dopo un lungo giro attraverso le campagne romane lo seppellirono in un bosco a più di 20 km dalla città.
Il cadavere fu ritrovato parecchio tempo dopo, il 16 agosto, sottoposto a riconoscimento dei famigliari e su ordine di Mussolini (per non dare troppo nell’occhio) i funerali si tennero a Fratta di Polesine, paese natale di Matteotti, dove successivamente verrà sepolto nella tomba di famiglia.
Fin dal girono dopo della scomparsa in Italia ci fu un momento politico molto burrascoso, l’opposizione accuserà Mussolini di essere il mandante dell’omicidio e si arriverà alla Secessione dell’Aventino, di cui però parlerò in un post futuro.
Quel 10 Giugno 1924 l’Italia perse un Politico con la P maiuscola. Pronto a morire per le proprie idee e per il suo paese come testimonia questa frase: “Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai” (Giacomo Matteotti)
Marco Fontana

lunedì 9 giugno 2014

Auguri Paperino!! (9 Giugno 1934)

Nella sua lunga carriera, Walt Disney ha creato tanti personaggi: Pippo, Topolino, Pluto, solo per citarne alcuni. Il primo, il più famoso, è sicuramente Topolino; ma diciamoci la verità, ci sta anche un po’ (scusate il francesismo) in culo! Sempre perfettino, non sbaglia mai un colpo: risolve misteri, sa sempre tutto, è sempre perfetto e la vita gli sorride. Dai, almeno per me, risulta essere fastidioso e un poco stomachevole. Quando ero piccola (beh dai, diciamola tutta, quando ancora oggi leggo Topolino), io le storie di Topolino le salto. Perché mi annoiano. Perché mi fanno sentire inadeguata. Allora perché leggo questo giornalino? Beh perché c’è lui..il grande Paperino! E’ sicuramente lui il personaggio più amato: buffo, impacciato, sfigato. Senza un soldo, nonostante uno zio ricco che lo sfrutta, con una fidanzata che lo vorrebbe perfetto, perché anche lei è sempre perfettina, con tre nipoti che definire saccenti è poco, e con quel cugino sempre fortunato e sbruffone, il cui nome è Gastone, lui è sempre meravigliosamente uguale a se stesso e non cambia mai. E’ collerico, perché la sorte non gli sorride, è squattrinato, ha sonno, se ci prova a fare qualcosa, alla fine quel qualcosa va storto. Forse lo adoro tanto, e come me la maggior parte della gente, perché riflette in fondo un poco la nostra vita, che perfetta non lo è mai. Eppure lui non si arrende lotta e alla fine con la sua timidezza, irascibilità e sfortuna, ottiene quello che noi tutti, credo, desideriamo: una vita con persone, che ti amano, ad aspettarti, avventure da raccontare…e un lieto fine, che compare all’ultima vignetta del fumetto, con il nostro Paperino che resta sempre uguale a se stesso. E allora auguri Paperino! E mille di questi giorni!
Caterina Valcarenghi

domenica 8 giugno 2014

Un numero per salvare un bambino. Nasce Telefono Azzurro (8 Giugno 1987)

L’8 Giugno 1987 apre i battenti Telefono Azzurro.
Una onlus fondata a Bologna dal prof. Ernesto Caffo, neuropsichiatra infantile, con lo scopo di difendere i diritti dell’infanzia che due anni dopo saranno riconosciuti da una Convenzione dell’ONU.
Nel 1990 Telefono Azzurro verrà riconosciuto come Ente Morale e viene attivato il numero gratuito che qualche anno dopo diventa numero breve: 19696, attivo 24 ore su 24 per i bambini sotto i 14 anni e nel 2003 il numero diventerà ancora più breve, solo tre cifre per un numero di Emergenza Infanzia, il 114.
Un piccolo numero, veloce da digitare, ma che può salvare tanti piccoli da violenze e abusi.
Nel video un appello di una grande attore italiano, Sergio Castellitto, a favore della raccolta fondi per questa importantissima associazione.
Marco Fontana

sabato 7 giugno 2014

Città del Vaticano, Stato Sovrano (7 Giugno 1929)


Il 7 Giugno 1929 alle ore 12 in punto entrarono ufficialmente in vigore i Patti Lateranensi e nacque la Città del Vaticano.
I Patti erano stai stipulati precedentemente, l’11 Febbraio 1929, tra Benito Mussolini, come Primo Ministro Italiano e Pietro Gasparri, cardinale Segretario di Stato per conto della Santa Sede.
Un patto che stabiliva relazione bilaterali tra Stato e Chiesa e quel 7 Giugno ci fu, in una saletta dei palazzi Apostolici, il definitivo scambio delle ratifiche con una cerimonia ufficiale e il conseguente passaggio di consegne tra i carabinieri, che lasciarono l’ex territorio italiano ora passato al Vaticano, e le Guardie Svizzere in alta uniforme.
Da quel momento si può parlare di Città del Vaticano. L’Italia riconosce al Papa la piena sovranità e indipendenza sulla sola ed esclusiva parte del territorio della città di Roma compreso nella cerchia delle Mura Leonine, oltre che sulla Piazza San Pietro. Territorio riconosciuto a livello internazionale e così viene assicurata l'indipendenza sovrana della Santa Sede rispetto a qualsiasi altro potere politico.
Città del Vaticano è il più piccolo, sia in termini di abitanti che di espansione, stato europeo. Vige una monarchia elettiva con a capo il Papa della Chiesa Cattolica che ha pieni poteri sul potere legislativo, esecutivo e giudiziario.
Nello Stato della Città del Vaticano si parla italiano, mentre la lingua ufficiale della Santa Sede è il latino.
Un vero Stato, con un proprio quotidiano (Osservatore Romano), una propria radio (Radio Vaticana), dei propri francobolli e una propria moneta, anche se per effetto dell’unione doganale e monetaria con l’Italia adotta l’euro.
Un piccolo stato con grandi poteri e molte, moltissime influenze.
Marco Fontana

venerdì 6 giugno 2014

Il Giorno più Lungo (6 Giugno 1944)

06 Giugno del 1944. E’ una livida alba sulle coste della Normandia quando l’onda del mare trasporta su quelle famose spiagge l’armata di invasione più imponente della Storia. Trecentomila uomini solo nella prima ondata, settemila tra navi e mezzi da sbarco, un immenso appoggio aereo, un sontuoso lavoro logistico di preparazione e di spionaggio. Gli alleati si apprestano al tanto atteso sbarco per aprire il fronte Occidentale e liberare l’Europa dal giogo Hitleriano. I tedeschi, consapevoli dell’imminente invasione, ma stremati da una guerra ormai segnata, vengono colti di sorpresa, a causa anche di una serie di errori di valutazione, di fortuite coincidenze, di episodi che a raccontarli sembrano più colorati del più incredibile dei romanzi. Da quel giorno sarebbe passato ancora un anno per vedersi schiudere le porte di Berlino. Un anno intriso di innumerevoli grandi e piccole storie. Storie di morti, di eroi, di inganni, di intrighi, di battaglie e sforzi sovraumani. Storie che L’Europa ha vissuto, visto crescere e spegnersi fino all’ultimo respiro. Fino alla libertà. Per un onesto scrivano è impossibile raccontarvene anche solo poche di queste storie. Ci vorrebbero milioni di righe. E allora un piccolo aneddoto può compensare questa mancanza e regalare un sorriso in un racconto, certo esaltante, ma altresì cupo e tragico come solo una guerra sa essere. Tutti voi conoscete il nome in codice con cui lo sbarco in Normandia viene ricordato e che è inciso nei cuori e nei libri di storia. Operazione “Overlord”. Signore supremo. Un nome pomposo e vagamente strano. Ma che cosa c’è in un nome? Come fu scelto? 
Generale Sir. Frederick Morgan. Questo è il nome dell’uomo sotto il cui comando, all’inizio del 1943, viene abbozzata una primissima versione del piano che avrebbe dovuto spalancare le porte dell’Europa. Nel proprio quartier generale, a Londra, per il buon Morgan si presenta presto un problema. Il piano prendeva forma, ma per poterlo sottoporre all’attenzione del Primo Ministro Britannico, Winston Churchill e poi portarla fino ai vertici del comando alleato per farla calare in seguito nei libri di storia, aveva bisogno di un nome in codice ufficiale. Il Generale chiamò a questo scopo un fidato collaboratore, il Maggiore Hesketh, il quale avrebbe dovuto recarsi all’Inter Service Security Bureau. Questa organizzazione aveva l’importante compito di assegnare e registrare i nomi a tutte le operazioni segrete Alleate nel mondo. Un compito complesso e decisivo più di quel che può sembrare. I nomi compromessi dovevano essere schedati per non essere più utilizzati, i nomi associabili tra loro non potevano essere proposti nella stessa area geografica. A seguito di questi e molti altri stringenti criteri la risposta fornita dal bureau dopo attente ricerche è più o meno questa. “Ci dispiace, ma al momento temiamo che rimanga soltanto un nome disponibile”. Ad Hesketh cominciarono a tremare le gambe. “Quale?” chiese sospettoso. Il nome era “Mothball”. Mothball significa “pallina di naftalina”. Hesketh rimase sgomento. “Ma come?” protestò.”La più importante operazione della seconda guerra mondiale con un nome così squallido?”. Nulla da fare. Sembrava proprio essere l’unico nome a disposizione. Il Maggiore tornò dal Generale Morgan con la notizia. Dal canto suo il Generale si preoccupò non poco. Ma come si poteva descrivere a Churchill un piano chiamato “operazione naftalina”. La situazione stava chiaramente assumendo contorni comici. Ben poco comica fu però la reazione di Winston Churchill. C’era da aspettarselo, ovviamente. “Mi sta dicendo che quei maledetti stupidi vogliono che i nostri nipoti, tra cinquant’anni, ricordino l’operazione che ha liberato l’Europa, con il nome di naftalina? Se non riescono a trovare un nome più decente ci penserò io”. Sguardo fisso, sigaro puntato al soffitto. Pochi istanti di silenzio e Churchill grida in faccia al Generale “Overlord, la chiameremo operazione Overlord”. Fu così, molto semplicemente, che vennero sconfitti i burocrati dell’esercito e così fu scelto il nome con il quale l’operazione che liberò la Francia e poi il resto d’Europa, passò alla Storia. Del resto in quelle ore del 06 Giugno e nei mesi successivi si sarebbe scritta una pagina decisiva. Tutti lo sapevano da tempo. Lo sbarco sarebbe stato fondamentale per lo sforzo degli alleati, in quanto se fosse fallito, non avrebbe permesso l’apertura del secondo fronte con conseguenze inimmaginabili. Senza una repentina liberazione della Francia Hitler sarebbe probabilmente stato sconfitto ugualmente, ma quando e soprattutto a quale terribile prezzo? Dal canto suo il Fuhrer nutriva ancora folli e segrete speranze che potevano essere alimentate unicamente dal poter respingere gli alleati sulla battigia. Non andò così in quel 06 Giugno 1944 quando l’alba della splendida Normandia si schiuse al nuovo giorno. Un giorno decisivo per il mondo e per tutti noi. Altro che naftalina. 
Luca Fontana

giovedì 5 giugno 2014

Lo spettro dell'AIDS (5 Giugno 1981)

"...Fu in quel dolore che a me venne l'amore, una voce piena d'armonia dice: vivi ancora, io sono la vita, le lacrime tue io le raccolgo. Sto sul tuo cammino e ti sorreggo. Sorridi e spera io sono l'amore..." (Philadelphia). È il 1993 e nei cinema esce uno dei film più belli ed emozionanti che, almeno per me, Hollywood abbia mai prodotto: Philadelphia. Tutti lo abbiamo visto, questo film, che racconta la storia di un avvocato gay, malato di AIDS, discriminato per la sua malattia (per questa infatti è stato licenziato); racconta la storia del processo, del suo chiedere giustizia, del suo voler essere considerato normale. E racconta la storia della paura della società, dei pregiudizi e dei giudizi di in mondo che spesso giudica perchè non sa, perchè ha paura. La parte più vera ed emozionante è quando lui ascolta Maria Callas cantare l'aria "La mamma morta" perchè dopo la distruzione arriva l'amore, arriva la vita, quella vita che alla fine sarà strappata al protagonista dall'AIDS. È il 5 giugno 1981 e 5 omosessuali si ammalano di polmonite da P.Carinii. È il 1981 e il CDC riconosce che esiste una nuova e tremenda malattia che colpisce il sistema immunitario e porta le persone a morire di infezioni e tumori opportunistici, cioè in grado di manifestarsi solo se il sistema immunitario è difettoso. È il 1981 e si capisce che questa malattia ha a che fare in qualche modo con il sesso, ma si pensa solo con il sesso "strano" per qualcuno "perverso", il sesso anale, perchè si sa le brave donne queste cose non le fanno, e forse nemmeno le puttane. È il 1981 e questa malattia è conosciuta come "la malattia dei gay", "delle 4 H (homosexual, heroin, hemophiliacs, Haitians)"; questa malattia spaventava e ghettizzava, perché all'inizio colpiva la comunità gay e gli eroinomani (come tutti noi sappiamo si trasmette attraverso il sangue e, gli eroinomani, con lo scambio di siringhe, si trasmettono la malattia), e quindi, in fondo, forse era colpa tua perchè "Voglio dirti una cosa, Andrew. Quando ti educano come hanno educato me e la maggior parte della gente in questo paese ti assicuro che nessuno ti viene a parlare di omosessualità oppure, come dite voi, stile di vita alternativo. Da bambino ti insegnano che i finocchi sono strani, i finocchi sono buffi, i finocchi si vestono come la madre, che hanno paura di battersi, che sono... sono un pericolo per i bambini, e che vogliono solamente entrarti nei pantaloni. Questo riassume più o meno il pensiero generale, se vuoi proprio sapere la verità." (Philadelphia)
L'agente eziologico della malattia sarà scoperto 2 anni dopo. Ovviamente stiamo parlando dell'HIV/AIDS. Sono passati 33 anni da quel 5 giugno 1981; oggi sappiamo che l'HIV colpisce in maniera indiscriminata uomini, donne, bambini, gay, eterosessuali, transessuali, lesbiche, bisessuali, bianchi, neri, gialli, europei, americani, asiatici, di destra, sinistra, centro, ricchi, poveri; insomma l'AIDS colpisce tutti. Nessuno è esente, nessuno al sicuro. E quello che più spaventa è che si trasmette con il sesso…eh già il sesso. La cosa più bella ed intima, l'esperienza più travolgente che una persona possa provare, quel piacere di sentire un corpo che vibra sul tuo e il respiro che diventa, all'unisono, più affannoso…si è proprio così che la malattia, infingarda, può colpirti. È dagli anni 80 che noi giovani abbiamo dovuto imparare a fare l'amore con il preservativo, perchè in fondo forse non vale la pena rischiare la vita per un orgasmo.
Una malattia mortale, come la lebbra anni prima, che non aveva cura e che portava a morte. Da qui il desiderio di ghettizzare, di escludere i malati. Oggi le nuove terapie riescono, nella maggior parte dei casi, a cronicizzare la malattia. Ma ancora oggi l'HIV divide il mondo: il mondo ricco che può permettersi i farmaci antiretrovirali, e i paesi poveri, dove la malattia è endemica, e dove i farmaci costano troppo.
Fin dal "riconoscimento" ottenuto dalla comunità scientifica (si pensa che casi umani isolati fossero presenti già dagli anni 60 in alcuni cacciatori che lo avevano preso dalle scimmie) l'AIDS spaventa e divide il mondo. E anche se noi oggi viviamo in un paese in cui i farmaci spesso cronicizzano la malattia, l'AIDS fa paura. Forse più per quella stigmate sociale che da sempre l'accompagna. E non pensiamo che sia morta solo perchè non se ne parla più…l'AIDS esiste! E ancora oggi colpisce proprio lì dove ci sentiamo più sicuri, meno vulnerabili, più felici: tra le lenzuola mentre giochiamo con noi stessi stretti dalle braccia di qualcuno che dovrebbe amarci...e invece ci uccide.
Caterina Valcarenghi

mercoledì 4 giugno 2014

Il Rivoltoso Sconosciuto. Piazza Tienanmen (4 Giugno 1989)

Il 4 Giugno 1989 venne scattata una delle foto destinate a rimanere nella memoria per l’eternità.
Un ragazzo cinese, presumibilmente uno studente (notizie certe sulla sua identità non si hanno ancora oggi), in camicia bianca, con in mano una cartelletta e una giacca, si para davanti a dei carri armati per fermarli.
I carri cercheranno di girargli intorno, ma lui spostandosi impedisce loro il passaggio e ad un certo punto si arrampica su uno di questi per parlare col manovratore.
Cosa si siano detti e quale sia stato il successivo destino del non è noto, ma sappiamo che questo ragazzo, ritratto da numerosi fotografi, tra cui l’immagine più diffusa è quella di Jeff Widener da una finestra di albergo che era lontano circa 800 metri, da quel giorno prese l’appellativo di “Rivoltoso Sconosciuto” e diventerà un simbolo di ogni rivoluzione e ribellione.
I fatti accaddero il 4 Giugno in Cina, in Occidente le notizie e le immagini arrivarono solo il giorno successivo.
Siamo in piazza Tienanmen a Pechino, dal 15 Aprile sono in corso manifestazioni popolari guidate da intellettuali, studenti e operai della Repubblica popolare Cinese contro la tirannia e la repressione del loro governo, ma quel giorno proprio governo disse basta e il capo del PCC Deng Xiaoping diede l’ordine alle truppe di avanzare dalla periferia verso la famosa piazza, aprendosi, se necessario, la strada con la forza.
Fu un massacro.
Notizie certe non si sono mai avute, ma probabilmente alcune migliaia di manifestanti furono uccisi durante questa giornata.
Probabilmente nei giorni successivi sarà stato giustiziato anche lui, il Rivoltoso Sconosciuto, il coraggioso ragazzo che sfidò i carri armati.
Di lui non si seppe mai nulla, ma la Storia lo ricorda e lo ricorderà sempre come simbolo di coraggio.
Marco Fontana

martedì 3 giugno 2014

Il Patto di Roma. Nasce la CGIL (3 Giugno 1944)

Il 3 Giugno 1944 con il Patto di Roma, nasceva o meglio rinasceva, il più antico sindacato italiano, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro, meglio nota come CGIL.
Con il regime fascista i sindacati vennero sciolti, ma le forze sindacali continuarono a vivere clandestinamente sotto la guida di Bruno Buozzi, sindacalista socialista, che verrà però, successivamente, ucciso dai nazisti proprio il giorno dopo del Patto di Roma.
L’Italia era ancora in guerra, ma Giuseppe Di Vittorio del partito comunista, Achille Grandi della democrazia cristiana e Emilio Canevari del partito socialista decisero di costituire un sindacato ufficiale unitario su tutto il territorio nazionale che rappresentasse i lavoratori, tutti i lavoratori, a prescindere dal loro credo politico e religioso e con il comune obiettivo di combattere il fascismo e aiutare la lotta partigiana.
Qualche anno dopo, nel 1950, dalla CGIL si scinderanno la CISL e la UIL.
Queste tre sigle sindacali guideranno negli anni successivi le lotte dei lavoratori di tutto il paese.
Marco Fontana

lunedì 2 giugno 2014

Monarchia o Repubblica? (2 Giugno 1946)

Poco dopo la fine della II Guerra Mondiale e la conseguente caduta del regime fascista per i politici italiani era giunto il momento di cambiare la storia e dare al nostro paese i giusti connotati.
Vennero indette in contemporanea due votazioni. Il referendum istituzionale del 2 Giugno 1946 in cui gli italiani furono chiamati alle urne per scegliere tra diventare Repubblica o proseguire con la Monarchia e per l’elezione dell’Assemblea Costituente che avrà il compito di stilare la nostra spina dorsale: la Costituzione.
Il 2 Giugno 1946 milioni di italiani andarono a votare, tra questi, per la prima volta nella storia del nostro paese, anche le donne.
Monarchia o Repubblica? Questo il dilemma. Pensarci ora, non sembrerebbe nemmeno ipotizzabile avere un dubbio, ma allora non era così.
Il paese era diviso, quasi perfettamente in due.
Pochi giorni prima della votazione il Re Vittorio Emanuele III, che aveva sulla coscienza l’aver spalancato le porte al fascismo, abdicò in favore del figlio Umberto. Una mossa con la quale forse voleva ammorbidire alcune posizioni anti monarchiche. Non ci riuscì.
Il referendum del 2 Giugno il popolo italiano decise per la Repubblica, che vinse con uno scarto di circa due milioni di voti.
La Monarchia ebbe più voti al sud e nelle isole, la repubblica al nord, anche in Piemonte, regione patria della dinastia reale.
I filo monarchici gridarono ai brogli, ma il risultato fu confermato e il 13 Giugno Re Umberto II lasciò l’Italia e partì per il Portogallo. Presidente provvisorio della Repubblica Italiana venne eletto Enrico De Nicola.
W la Repubblica Italiana.
Marco Fontana