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domenica 30 marzo 2014

La svolta di Berlinguer (13 Marzo 1972)

Enrico Berlinguer
Il 13 marzo del 1972 Enrico Berlinguer apre al Palalido di Milano, dinanzi ad un migliaio di delegati, il tredicesimo congresso del Pci. Un luogo, un congresso, un uomo destinati ad aprire una nuova epoca. Sarà lui, eletto nuovo segretario, nonostante resistenze ed ostacoli, a portare il Pci in direzione di un rinnovamento attraverso il “compromesso storico” e l’allontanamento progressivo dall’Unione Sovietica. Sarà lui a teorizzare “l’Eurocomunismo” teso a riformare il comunismo legandolo stabilmente alla parola “democrazia” e sciogliendolo dal granitico monolitismo sovietico. Sarà lui, in ambito Italiano, a cercare la collaborazione con l’altra grande forza popolare del Paese, la Democrazia Cristiana, al fine di arginare le drammatiche tensioni che l’Italia viveva in quegli anni bui, strategia della tensione, attentanti, scia infinita di sangue, e con l’obiettivo di avvicinare il partito al governo del Paese.
Questa strada, già intrapresa da Togliatti, partiva anche da presupposti internazionali come lo stesso Berlinguer spiega in un articolo dell’anno successivo, in cui propone la sua analisi della società moderna agganciandosi al colpo di Stato in Cile, esaustivo di quali disastri possa provocare una democrazia traballante «la gravità dei problemi del paese, le minacce sempre incombenti di avventure reazionarie e la necessità di aprire finalmente alla nazione una sicura via di sviluppo economico, di rinnovamento sociale e di progresso democratico rendono sempre più urgente e maturo che si giunga a quello che può essere definito il nuovo grande compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano». Anche l’Italia è una democrazia fragile secondo Berlinguer. Una democrazia bisognosa di un'alternativa costruita dai due grandi partiti di massa. 
Se è vero che nelle teorizzazioni della politica nazionale Berlinguer portò il partito ad altissimi livelli di consenso e ci porta alla mente termini come la questione morale e l’austerità per lo sviluppo, fu nella politica estera che la propria linea si incanalò verso una vera frattura con il passato. Il tentativo di portare il comunismo verso una Socialdemocrazia criticando quei caratteri burocratici e dittatoriali dell’Unione Sovietica che avevano fatto smarrire la stessa ragione d’essere del comunismo e teorizzando la fine della “spinta propulsiva” della Rivoluzione D’Ottobre. Una vocazione autenticamente democratica indirizzata ad una collocazione maggiormente atlantica ed Europea. 
Questa frattura così clamorosa era possibile solo se diretta da un uomo che, seppur schivo e silenzioso, era intriso di grandi doti morali, di spiccata personalità e intenso carisma. Ecco perché quello del Marzo 1972 fu dunque un congresso fuori dall’ordinario. Fuori dall’ordinario per il cambio generazionale all' interno del partito comunista e per il difficile momento vissuto dal Paese e dal mondo tutto.. Possiamo affermare che quel giorno al Palalido cominciò una nuova epoca. Per il PCI e per l’italia. Un’ epoca che ha attraversato i tumultuosi anni settanta con i cambiamenti sociali e politici che li hanno contraddistinti. Un epoca terminata prematuramente con la morte di Berlinguer in quel drammatico comizio di Padova del 1984.
Luca Fontana

Balvano. La storia dimenticata del treno 8017. (3 Marzo 1944)

Ingresso della galleria delle Armi
Catapultiamoci nel 1944, un anno tragico per l’Italia. La guerra è al culmine. Con il pensiero non corriamo però a Cassino o in via Rasella , non raccontiamo dell’operazione Strangle o delle Fosse Ardeatine. Vogliamo ricordare invece un immane disastro ugualmente figlio di quella follia che fu la seconda Guerra Mondiale. Una tragedia che entra nella storia d’Italia in punta di piedi e presto ne esce, troppo in fretta dimenticata. E’ passata da poco la mezzanotte di Venerdì 3 Marzo ed i silenziosi monti della Lucania stanno per divenire il teatro della più grande sciagura ferroviaria della storia nostro Paese. Una sciagura che assume i tristi ed indefiniti contorni del mistero, un mistero con un assassino, il carbone, e con molte, troppe, coincidenze e punti tuttora poco conosciuti. Balvano è un piccolo paese, la sua stazione ferroviaria, compressa tra monti e gallerie, lo è ancora di più. La notte è fredda e piove. La primavera ancora è lontana in tutti i sensi.
Siamo alle 0.50 quando i due macchinisti del treno merci 8017, diretto a Potenza, allentano i freni e partono dalla stazione. Il capostazione di Balvano, Vincenzo Maglio, batte al telegrafo il segnale di "partito" al suo collega della stazione successiva, Bella-Muro, distante pochi chilometri. Un tragitto dovrebbe essere percorso in una ventina di minuti. Ma quel treno, a Bella-Muro non ci arriverà mai. Cosa accadde non ci è dato conoscerlo con precisione ancora oggi, figuriamoci al tempo dei fatti, in un Paese alla fame e sconvolto dalla Guerra. Ecco come il Corriere della Sera descrive l’accaduto, il 6 Marzo. "L'agenzia Reuter comunica da Napoli che 500 italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono degenti all'ospedale. Per mancanza di treni viaggiatori un gran numero di persone era salito su un merci diretto a oriente, stipando i carri aperti che lo componevano. Nell'attraversare una galleria, il treno che già procedeva assai lentamente, rallentava ancora la marcia, sicché il denso fumo che ingombrava la galleria stessa in seguito al passaggio di altri convogli provocava la soffocazione della maggior parte dei disgraziati viaggiatori".
Non molto altro fu raccontato nelle settimane seguenti. Perché? Per provare a comprenderlo dobbiamo compere alcuni passi indietro. In quei mesi L’Italia era tagliata in due. Al di sopra della linea Gotica si combatteva furiosamente ed i tedeschi producevano una residua tenace resistenza. Nel centro-sud, ormai liberato e sotto l’occhio vigile degli alleati, il nemico maggiore era la fame. In molti facevano la spola tra città e campagna per cercare generi alimentari e sfamare la propria famiglia. Inoltre la borsa nera proliferava senza controllo. Si compravano, spesso direttamente dalle truppe alleate, merci rare come sigarette e cioccolata e le si portava in campagna per scambiarle con olio, uova, carne che nelle città come Napoli erano carenti. Questi alimenti venivano poi rivenduti con forti guadagni. Per spostarsi tra città e campagna gli unici mezzi a disposizione erano i pochi treni merci, sotto controllo del comando alleato, che in teoria non avrebbero dovuto trasportare nessun passeggero.
Il treno merci n. 8017, il nostro treno, era diretto a Potenza per caricare legname per la ricostruzione di ponti nella zona di combattimento. E’ composto da 47 carri, una ventina dei quali scoperti. Come sempre borsari neri, e semplici persone in cerca di cibo lo prendono immediatamente d'assalto. È proibito salire sui merci, ma si tende a chiudere un occhio. Il treno parte da Battipaglia alle 19.00, calamitando di stazione in stazione passeggeri a decine. A Romagnano porta con se almeno 600 viaggiatori clandestini. Qui viene agganciata in testa una seconda locomotiva, del tipo 476 adatta ai percorsi di montagna. Alle 23.40 il treno 8017 lascia Romagnano. Alle 0.12 giunge a Balvano, ma a causa di un guasto al treno che lo precede è costretto ad attendere per più di trenta minuti all’imbocco di una galleria.
Il fumo stagna, non tira un alito di vento e, durante questi lunghissimi minuti di attesa i passeggeri respirano fumo e gas, sprigionati dal pessimo carbone usato per le caldaie delle locomotive. Carbone di bassa qualità fornito dal comando Alleato. Finalmente, alle 0.50, il convoglio parte dalla stazione di Balvano per insinuarsi tra le montagne. Piove, anzi nevica. Una galleria. Poi, un'altra, un'altra ancora. In salita. Le rotaie sono rese viscide dall’umidità e dal freddo. Molti passeggeri dormono ignari del pericolo. Ecco arrivare la “galleria delle Armi” lunga 1695 metri. Il teatro della tragedia. Il treno arranca, le due locomotive non riescono a mordere le rotaie. I macchinisti gettano carbone nelle caldaie, ancora e poi ancora. Il treno si arresta, arretra, sembra ripartire. Si ferma, questa volta definitivamente. Non riparte più. E la sorte della gran parte dei passeggeri da quel momento è segnata. I gas tossici spigionati dalle caldaie che intasano presto la tortuosa e buia galleria, vestono i panni di un assassino spietato e rapido. La maggior parte dei viaggiatori passa dal sonno alla morte. Perché il treno non riuscì a ripartire? Possiamo proporre congetture, parzialmente suffragate dalle testimonianze dei superstiti, per lo più chi viaggiava nei vagoni di coda rimasti allo scoperto. La locomotiva di testa viene trovata con la leva di comando sulla retromarcia, l’altra con la leva di comando spinta in avanti. Evidentemente quando il treno s'era fermato, i due macchinisti, colti dal panico o magari già intontiti dai gas, impossibilitati a comunicare fra di loro, non ebbero identica reazione. Probabilmente questo fu fatale. Una possibile concausa ci viene indicata da uno dei soccorritori che ricorda come, al momento del ritrovamento, molti veicoli risultavano frenati, impedendo al treno di retrocedere. Perché? Tra i superstiti, sull'undicesimo vagone dalla coda, viaggiava Giuseppe De Venuto, un operaio delle ferrovie che fungeva da frenatore. Riuscì a scendere dal treno e si diresse verso l'uscita della galleria. Con le forze residue, semisvenuto ed intontito dal fumo cercò ti tornare alla stazione di Balvano per dare notizia dell’accaduto. Proprio i soccorsi furono una delle tante circostanze incredibili di quella notte. La distanza fra le stazioni di Balvano e la successiva è di soli 8 chilometri.
Soltanto alle 2,40 mancando il dispaccio dell’arrivo da parte della stazione Bella-Muro i capistazione si agitarono costatando che il treno 8017 non era arrivato regolarmente ed era ancora in linea. Ma non accadde quasi nulla. Pressappoco quando De Venuto entrò barcollando nella stazione di Balvano, esclamando con la poca voce rimasta prima di svenire «Là, là, sono tutti morti, tutti morti!», il capostazione di Balvano allertò tutte le autorità a partirono i soccorsi. Ma il tragico orologio di quella notte segnava ormai le 05.10. Si fece staccare una locomotiva da un altro merci. I soccorsi giunsero in galleria e si diressero al treno della sciagura constatando con notevole ritardo la macabra scena. Decine di corpi distese sulle rotaie. L’8017 venne agganciato e rimorchiato a Balvano. Finalmente ci si rese conto di quali fossero le proporzioni del disastro. In un vagone i corpi delle vittime erano talmente ammassati che bloccavano lo sportello, che venne quindi squarciato. Questo è quello che accadde quella notte. Dal giorno successivo un silenzio spettrale a Balvano, dove i corpi delle vittime furono poi sepolte in fosse comuni nel piccolo cimitero del paese. Il silenzio spettrale strisciò ovunque aggiungendo domande alle domande. La tragedia fu infatti tenuta sotto silenzio per quanto possibile. 
Le inchieste risultarono poco precise e frettolose. Le esigenze di Guerra ed il comando alleato, richiedevano discrezione. La colpa del disastro fu attribuita ufficialmente al carbone di qualità scadente non in grado di fornire la necessaria potenza alle locomotive. Carbone che sprigionò invece quantità eccessive di gas tossici. In una relazione dal ministero dei Trasporti del 1952, si legge: "Il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti gassosi della combustione del carbone, particolarmente ricco di ossido di carbone. In proposito vale notare che, da parte del Comando alleato, venne imposto l'uso di tale carbone, assolutamente inadatto per le locomotive allora in esercizio". In realtà le cause della tragedia furono molteplici. Oltre ai quesiti nati in seguito al ritrovamento del treno, locomotive direzionate diversamente, vagoni frenati, soccorsi in fatale ritardo, dobbiamo considerare altri elementi oggettivi sfortunati. La giornata era poco ventosa, per cui la galleria non risultava ben ventilata, l'umidità della foschia notturna aveva bagnato i binari, rendendoli scivolosi. Il sovraccarico del treno e la presenza a bordo di viaggiatori clandestini non aiutò sicuramente il treno a mordere le scivolose rotaie della galleria della Armi. 
Della tragedia del treno 8017 si potrebbe parlare ancora molto. Ci premeva in questa sede ricordare una vicenda poco conosciuta, e troppo in fretta dimenticata. Talmente dimenticata che ancora oggi non conosciamo il numero esatto delle vittime. Conosciamo però la storia di molte di loro, povera gente attanagliata dalla fame, che quella notte intraprese come molte altre volte un viaggio disperato, alla ricerca di cibo e speranza per se e per le proprie famiglie, trovando invece in buio della morte lungo i freddi binari di una galleria. 
Questa è la storia del treno 8017. 
Luca Fontana

La Giornata Internazionale della Donna (8 Marzo)

Manifestazione nella Giornata Internazionale della Donna

"La rivoluzione più grande è, in un paese, quella che cambia le donne e il loro sistema di vita. Non si può fare la rivoluzione senza le donne. Forse le donne sono fisicamente più deboli ma moralmente hanno una forza cento volte più grande. Se potessi fare l'esercito della libertà con le sole donne, sarei sicuro di vincere la guerra in un anno... " (Gandhi)
La Giornata Internazionale della Donna o più semplicemente “Festa della donna” ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, ma anche per non dimenticare le discriminazioni e le violenze di cui esse sono ancora vittime.
Le origini di quella che impropriamente viene definita “festa” sono controverse.
Dobbiamo tornare al secolo scorso.
Durante il VII Congresso della II Internazionale Socialista di Stoccarda, tenutosi nel 1907, venne discussa, la questione legata al diritto di voto da parte delle donne. Il 26 e 27 agosto dello stesso anno si tenne la prima Conferenza Internazionale delle donne socialiste, in cui Clara Zetkin (delegata tedesca e esponente marxista) fu eletta segretaria del movimento. 
Il 3 maggio del 1908, l’anno successivo, a Chicago, l’americana Corinne Brown presiedette una conferenza storica a cui tutte le donne erano state invitate, nominandola “Woman’s Day”, il giorno della donna. In quell’occasione i temi affrontati furono lo sfruttamento delle operaie al lavoro, gli orari, il salario basso, le discriminazioni sessuali e il diritto di voto. Negli anni successivi, negli U.S.A., il Woman’s Day continuò ad essere festeggiato a fine febbraio. 
Bisogna attendere il 1911, in Germania, con la settimana rossa di agitazioni femminili, perché si iniziasse a considerare l’8 marzo come giorno ufficiale dedicato alla donna.
Poi scoppiò la Prima Guerra Mondiale, e le celebrazioni furono interrotte, fino all’8 marzo del 1917, dove, a San Pietroburgo, le donne guidarono una grande manifestazione a rivendicare al fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della Rivoluzione russa di febbraio. Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell'apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la « Giornata internazionale dell'operaia ».
Per quanto riguarda l’Italia, bisogna attendere il 1922 per vedere la prima manifestazione e solo nel 1945 venne adottato l’8 marzo come data ufficiale.
Ma la connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l'isolamento politico della Russia e del movimento comunista e le conseguenze della seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l'8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York. 
Finalmente l’8 marzo del 1975, fu proclamato dalle Nazioni Unite “L'Anno Internazionale delle Donne” dalle Nazioni Unite e le organizzazioni femminili di tutto il mondo celebrarono la giornata dedicata alle donne. 
Fu così che arrivò il riconoscimento ufficiale internazionale e nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione sancendo l’8 marzo come “giornata delle nazioni Unite per i diritti delle donna e la pace internazionale”, chiedendo agli stati membri di osservarla e riconoscendo così l’urgenza di porre fine alle discriminazioni per il raggiungimento di una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del proprio paese. 
Ma perché in questa giornata è un dovere regalare una mimosa e non una rosa,un tulipano o un'orchidea? Nel 1946, su iniziativa delle attiviste Rita Montagnana e Teresa Mattei, l’UDI (Unione Donne in Italia) decise di adottare il rametto di mimosa come simbolo di quella giornata. I motivi sono diversi. Il primo, perché la mimosa è una pianta pioniera, spontanea, che ben rappresentava la volontà di rivendicare i diritti della donna e le lotte per farli valere. Il secondo è che fiorisce proprio in quel periodo. Il terzo, è che i suoi fiori sono luminosi, allegri, solari, all’apparenza delicati, ma in realtà forti e orgogliosi, proprio come una donna.
Il lavoro, il diritto al voto, il diritto a poter dire no allo sfruttamento e alla violenza, il diritto alla libertà, alla parità di genere, il rispetto per la propria persona, il rispetto per il proprio corpo…questo significa festeggiare l'8 marzo.
In un mondo in cui la donna continua ad essere picchiata e violentata, le mutilazioni femminili persistono e per tanti paesi il viso e il corpo di una donna devono essere nascosti , ricordiamoci di onorare questa storia.
Mimma Sternativo

venerdì 28 marzo 2014

Mensistoria...giorno per giorno

La Redazione di Mensistoria
Ciao a tutti.
Da Ottobre ad oggi ci siamo messi in testa, per passione e divertimento, di scrivere ogni mese una specie di rivista basata su argomenti storici esclusivamente accaduti nel mese in corso.
Questo avverrà ancora puntualmente, ogni ultimo giorno del mese pubblicheremo il file in formato rivista.
Da questo mese però abbiamo deciso per una novità.
Accompagnare il numero mensile con questo blog.
Il blog ci permetterà di pubblicare, oltre agli stessi articoli che troverete nella rivista vera e propria, anche tutta una serie di articoli minori, curiosità e aneddoti storici giorno per giorno.
Tutto questo con l'intenzione sempre di divertirci con le nostre due passioni (storia e scrittura) e sperando di rendere più dinamico Mensistoria, di suscitare interesse negli amici che hanno voglia, ogni tanto, di dedicare qualche minuto a questo blog.
Rispetto alla rivista completa, il blog ed ogni suo singolo articolo sono più facilmente consultabili da presidi mobili, quali smartphone e tablet e hanno la possibilità di ricevere commenti.
I file delle riviste complete arretrate sono facilmente consultabile dalla home page del blog, troverete i link sulla destra.
Gli articoli verranno condivisi sulle nostre pagine facebook, in modo da poter essere maggiormente diffusi ad ipotetici interessati.
Vi ringraziamo anticipatamente per ogni secondo che deciderete di spendere per leggerci.

La Redazione di Mensistoria: Caterina, Luca, Marco e Mimma (rigorosamente in ordine alfabetico) 

giovedì 27 marzo 2014

Dieci Italiani per un Tedesco (Via Rasella)

Locandina del film
Roma, marzo 1944. A seguito di un attentato compiuto in via Rasella ai danni di un reparto tedesco, dodici soldati dell'esercito di occupazione trovarono la morte. Il comando tedesco ordinò una feroce rappresaglia: il colonnello Kappler, con il concorso del questore di Roma Caruso, compilò la lista dei condannati a morte prescelti tra i detenuti per motivi politici e per reati comuni e tra i catturati nel corso dei rastrellamenti per le vie della città. Tra le vittime furono anche annoverati un sacerdote, un giovane nobile, un fascista, un professore ed un detenuto fermato nell'atto della scarcerazione. Il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine fu compiuto l'omonimo eccidio.
Un film del 1962 scritto e diretto da Valter Ratti, con il celebre Gino Cervi ( famoso per il personaggio dell'onorevole Peppone nei film di Don Camillo) e Carlo D'Angelo nel ruolo del colonnello Kappler.
Un film lucido, schietto, quasi documentaristico su questa triste pagina di storia italiana.

Inaugurazione della Tour Eiffel (31 Marzo 1889)

La Tour Eiffel
"[···] e lei,
tour Eiffel dei mille incanti
e dei mille rullini che su di lei
sempre si poseranno incuriositi e avidi di luce
maestosa compone
come consumato direttore d'orchestra
concerti intrisi di passioni e fisarmoniche
mentre un sans papier
brilla della vita che sognava e che mai fu
abbracciato all'amicizia del suo vino. 
(Tour Eiffel, Cristiano Comelli)

Il 31 Marzo 1889 veniva inaugurata la Tour Eiffel a Parigi, un monumento destinato fin da subito a diventare simbolo della città di Parigi e sicuramente uno dei più famosi e visitati del mondo.
Progettata dall' omonimo ingegnere Gustave Eiffel, lo stesso della Statua della Libertà di New York, venne costruita in poco più di due anni.
324 metri di altezza raggiungibili tramite 1665 scalini o ascensori trasparenti e 8000 tonnellate di peso. Ci vollero trecento metalmeccanici per assemblare gli oltre 18000 pezzi di ferro con più di 2 milioni e mezzo di bulloni. Solo alcuni numeri che fanno capire l'imponenza di questo monumento.
La torre ha mantenuto il primato di "Monumento più alto del mondo" fino al 1930, quando venne inaugurato il Chrysler Building di New York.
L'inaugurazione della Tour Eiffel a fine marzo (verrà in realtà aperta al pubblico sei giorni dopo, il 6 aprile) avvenne per L'esposizione Universale del 1889, la struttura dove fungere da ingresso per la Fiera organizzata per il centenario della RivoluzioneFrancese.
Oltre ad essere un monumento visitato dai Parigini e da milioni di turisti, fin da subito ebbe notevole importanza per esperimenti scientifici e nelle telecomunicazioni grazie ad antenne poste sulla sua sommità.
Inizialmente non tutti amarono questa struttura, molti Parigini la consideravano brutta esteticamente, ma senza dubbio con gli anni il fascino della Tour Eiffel colpì tutti, tanto che attualmente fa parte delle "7 Meraviglie del Mondo moderno".
Dalla sua apertura, 125 anni fa, é stata visitata da più di 250 milioni di persone, ogni giorni é la meta francese più ambita dai turisti e sicuramente lo sarà ancora per molti anni.
"La Tour Eiffel sembrava un faro abbandonato sulla terra da una generazione scomparsa, da una generazione di giganti." (Edmond de Goncourt, Journal, 6 maggio 1889)
Marco Fontana





Invenzione dell'orologio Swatch (1 Marzo 1983)

Tutti i modelli Swatch, dall'83 a oggi
L'1 Marzo 1983 venne presentata a Zurigo la prima collezione, composta da 12 modelli, di orologi Swatch, destinati in brevissimo tempo a essere allacciati ai polsi di milioni di persone in tutto il Mondo.
Negli anni sessanta e settanta il mercato dell'orologeria svizzera era in decadenza e sembrava aver intrapreso un inarrestabile percorso di declino causato dallo sviluppo dell'industria giapponese, ma Nicolas Hayek, imprenditore svizzero di origine libanese, ebbe l'intuizione che cambiò la storia degli orologi da polso.
Inventò lo "Swatch", innovativo, casual e decisamente economico rispetto ai suoi predecessori. Era molto più veloce da assemblare, meno costoso da costruire e risultava perfettamente resistente all'acqua.
Hayek capì che per sconfiggere i prodotti giapponesi doveva sfidarli sul loro stesso territorio, cioè gli orologi al quarzo, creando modelli esteticamente più belli. Fu per questo che gli Swatch furono fin da subito di colori molto accesi e vennero prodotti in continuazione con innovazione sempre differenti, come per esempio il quadrante trasparente che lasciava intravedere gli ingranaggi o il cinturino profumato.
Essendo cassa e cinturino di plastica gli Swatch venivano prodotti sempre con piccole differenze, dando vita, per gli amanti degli orologi da polso, ad un vero e proprio collezionismo.
Questi aspetti fecero si che in pochi anni lo Swatch divenne famoso ovunque, in tutte le città più importanti del Mondo sono presenti Swatch Store sempre pienissimi di clienti, terzi più famosi quello in Times Square a New York e a in Place Vendome e sulle Champs Elysees a Parigi.
Nicolas Hayek è morto nel 2010 ed é ricordato come "l'uomo che ha salvato l'industria degli orologi svizzera".
Marco Fontana

Le Idi di Marzo (15 Marzo 44 a.C)

Dipinto "Morte di Giulio Cesare"
Il 15 Marzo del lontano 44 a.C. fu portato a compimento il “delitto politico” più famoso della Storia: quello di Gaio Giulio Cesare.
Bisogna però partire da quindici anni prima, nel 59 a.C, per raccontare un po’ di contesto storico che portò alla congiura delle “Idi di Marzo”.
Cesare era Console e portò le legioni romane alla vittoria nelle campagne di Gallia. Strinse un’alleanza politica con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, il famoso Primo Triumvirato, che doveva garantire la governabilità di Roma e delle legioni, ma dopo la morte di Crasso gli accordi con Pompeo si ruppero e il 10 Gennaio del 49 a.C. Cesare attraversò il Rubicone col suo esercito, cosa assolutamente vietata perché il fiume delimitava la zona entro cui un generale non poteva marciare armato. Cesare oltrepassando il Rubicone (celebre la frase “Alea iacta est”) di fatto dichiarò guerra alla Repubblica.
Dopo anni di campagne vittoriose tra Spagna, Tessaglia, Egitto ed Africa tornò a Roma e iniziò una riforma della Repubblica, ponendola sotto il suo controllo.
La definitiva sconfitta della fazione pompeiana dopo la battaglia di Munda nel 45 a.C. procurò a Cesare le antipatie dei sostenitori della Repubblica che temevano l’istaurarsi di una Monarchia che nessuno a Roma avrebbe visto di buon occhio.
Le tendenze al potere autoritario di Cesare, il protrarsi delle guerre civili, le pressioni dei gruppi anticesariani interni al senato e le rivalità esistenti tra gli stessi componenti dell'ambiente cesariano crearono una situazione favorevole allo sviluppo di progetti di congiura che dovevano risolversi con l'uccisione del dittatore.
I Cesaricidi veri e propri furono circa una ventina, ma complessivamente i congiuranti erano una sessantina. Tra di loro spiccavano i nomi di Casca, Decimo Giunio Bruto, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino.
Il più famoso tra coloro che non aderirono alla congiura, seppur gradendo l’eliminazione di Cesare, fu Cicerone.
Il 15 Marzo del 44 a.C. Cesare entrò in Senato e si sedette al suo seggio dove fu subito circondato dai congiurati. Il primo che sfoderò il pugnale e che colpì Cesare fu Casca, ma la ferita al collo non fu mortale. Cesare cercò di difendersi come poteva, ma quando vide tra i nemici che lo volevano morto anche Marco Bruto capì che per lui era arrivata la fine. Si inginocchiò ai piedi della statua del suo storico nemico Pompeo e morì dopo 23 coltellate.
Prima di spirare pronunciò la storica frase: “Tu quoque, Brute, fili mi! ("Anche tu Bruto, figlio mio!").
La morte di Cesare non servì ad arrestare l’inesorabile processo di che portò alla fine della Repubblica. Le lotte di potere successive portarono alla morte tutti i congiurati e al comando Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare.
Dante Alighieri nella Divina Commedia, inserirà Bruto e Cassio (che si tolsero la vita) nella Giudecca, la parte più pronfonda dell’Inferno, proprio tra le fauci di Lucifero, assieme a Giuda Iscariota, tacciandoli di essere traditori dell’Impero.
Marco Fontana

Elezione di Papa Francesco (13 Marzo 2013)

Papa Francesco si presenta ai fedeli
Annuntio vobis gaudium magnum; 
habemus Papam.
Eminentissimum ac Reverendissum Dominum 
Dominum Georgium Marium
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio 
qui sibi nomen imposuit Franciscum.

Sono le 20.12 di mercoledì 13 Marzo 2013 quando gran parte della popolazione mondiale ascolta le tremanti parole dell' protodiacono Jeans Louis Tauran pronunciare il sopracitato famosissimo annuncio cerimoniale del nuovo Pontefice dalla Loggia centrale di San Pietro in Vaticano.
Molti rimasero per qualche minuto interdetti, il nome del nuovo Papa ai più non diceva granché, soprattutto non usciva dal gruppetto di favoriti segnalati dai "vaticanisti".
Pochi minuti dopo Papa Francesco si presentò al Mondo e con un italiano perfetto disse: "Fratelli e sorelle, buonasera."
Bergoglio, argentino di origini italiane, per la precisione piemontesi, nato a Buenos Aires ("quasi alla fine del mondo" come lui stesso dirà) è così il 266mo Papa della Chiesa Cattolica.
Il suo motto episcopale é "Miserando acque eligendo" che significa "guardò con misericordia e scelse".
Bergoglio è il primo Papa Gesuita e il primo Papa proveniente dal continente americano.
In lui fin dai primi giorni sono riposte grandi speranze da parte di molti fedeli, che sperano possa riportare lustro e prestigio ad una Chiesa che negli ultimi anni ha sicuramente perso seguaci (questione dovuta in gran parte a scandali legati alla pedofilia e al recente Vatican Leaks) e anche di molti non credenti che vedono comunque in questo Papa la possibilità di una Chiesa più moderna e più aperta al confronto con il mondo laico.
Bergoglio ha scelto come nome papale Francesco per due motivi: la vicinanza ai poveri che ha contraddistinto la sua carriera e il legame con L'Italia, paese di cui San Francesco è Patrono.
Il suo primo anno di Pontificato gli ha portato le simpatie praticamente di tutti. Si è espresso con durezza contro la guerra in Siria, contro la pedofilia nel clero (con l'allontanamento di diversi sacerdoti), a favore dell'ambiente e ha riformato diverse cose nella Chiesa e in Vaticano. 
Insomma...un laico come me ti dice: "Dai Francesco, vai avanti così!" "L'unica guerra che tutti dobbiamo combattere è quella contro il male" (Papa Francesco, Jorge Mario Bergoglio)
Marco Fontana

Le Cinque Giornate di Milano (18-22 Marzo 1848)

Dipinto delle Cinque Giornate di Milano
La gente che, come me, abita nella zona 4 di Milano e prende il tram 27 per arrivare in Duomo, attraversa Corso XXII Marzo e arriva in Piazza V Giornate. Oggi per me, come per altri milanesi, XXII Marzo e 5 Giornate rappresentano rispettivamente una piazza e un corso pieno di negozi, dove fare spese e un aperitivo al Globe. Non credo che qualcuno si fermi a pensare all'importanza di queste date che, eppure hanno cambiato la nostra storia. Era gennaio 1848 e Milano era la capitale del regno Lombardo-Veneto, facente parte del regno Austriaco. I milanesi, stufi della repressione austriaca, iniziarono a boicottare il proprio governo centrale rifiutandosi di fumare (cambia la storia ma i vizi sembrano non cambiare mai e, come oggi, anche allora per far cassa si tassavano i vizi); la controffensiva austriaca si manifestò con i soldati che fumavano in strada e obbligavano i passanti a fare altrettanto, morirono anche alcuni milanesi ed erano state gettate le basi per una rivolta che porterà alla prima guerra d'indipendenza e quindi, alla fine, alla nascita dell'Italia. Ma procediamo con ordine: il 17/3/1848 un'insurrezione popolare viennese portò alle dimissioni di Metternich; i milanesi, forse consapevoli dell'inizio della debolezza dell'oppressore, decisero perciò di organizzare una manifestazione in piazza mercanti, ma la pacifica manifestazione divenne ben presto una rivolta che costrinse Radetzky (il federmaresciallo austriaco, governatore di Milano) a rinchiudersi con i suoi 8000 uomini nel perimetro del Castello Sforzesco, mentre in tutta la città la gente iniziava a riversarsi nelle strade. Mentre Radetzky organizzava la controffensiva austriaca, facendo arrivare circa 15000 soldati austriaci per circondare la cittá, i capi rivoltosi si nascondevano in una casa in Via Monte Napoleone e tutta la cittá partecipò erigendo barricate, costruendo mongolfiere per permettere ai messaggi di viaggiare da una parte all'altra della città, combattendo strenuamente per cacciare lo straniero. Il 20/3/1848 Luigi Torelli e Scipione Bagaggia posero il tricolore sulla guglia della Madonnina; lo stesso giorno venne fondato il consiglio di guerra. In data 22/3/1848 i milanesi passarono Porta Tosa (da allora Porta Vittoria) stringendosi intorno al nemico austriaco, che nel frattempo era venuto a conoscenza che le truppe di Carlo Alberto, Re di Sardegna, si stavano muovendo. Sentendosi ormai circondato, il federmaresciallo austriaco decise di ritirarsi, consegnando Milano ai milanesi. Era il 22/3/1848, la quinta giornata…i milanesi avevano vinto e il giorno dopo iniziò la prima guerra d'indipendenza italiana. Questa pagina emozionante della nostra storia, raccontata solo per brevi capi, mostra, concedetemelo, l'ironia fine del destino e della storia. Se dalla Lombardia (e da Milano in particolar modo) nacque il movimento che porterà a fare dell'Italia un unico stato, è sempre da qui che, anni dopo, nascerà un movimento che scenderà nelle piazze chiedendo a gran voce che quest'Italia sia spezzata in due e non importa come la pensiate sul primo o sul secondo movimento, non potrete fare in modo di riflettere su questa contraddizione e sorridere. Domani,se come me prenderete il tram, passando da Corso XXII Marzo e arrivando in Piazza 5 Giornate fermatevi un attimo a pensare al perchè è stato dedicato un corso a una data e una piazza a un numero…e poi vedete voi, in base alla vostra "fede politica" (rispettabile qualunque essa sia) se benedire o maledire quelle 5 giornate di Milano.
Caterina Valcarenghi