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domenica 30 marzo 2014

Balvano. La storia dimenticata del treno 8017. (3 Marzo 1944)

Ingresso della galleria delle Armi
Catapultiamoci nel 1944, un anno tragico per l’Italia. La guerra è al culmine. Con il pensiero non corriamo però a Cassino o in via Rasella , non raccontiamo dell’operazione Strangle o delle Fosse Ardeatine. Vogliamo ricordare invece un immane disastro ugualmente figlio di quella follia che fu la seconda Guerra Mondiale. Una tragedia che entra nella storia d’Italia in punta di piedi e presto ne esce, troppo in fretta dimenticata. E’ passata da poco la mezzanotte di Venerdì 3 Marzo ed i silenziosi monti della Lucania stanno per divenire il teatro della più grande sciagura ferroviaria della storia nostro Paese. Una sciagura che assume i tristi ed indefiniti contorni del mistero, un mistero con un assassino, il carbone, e con molte, troppe, coincidenze e punti tuttora poco conosciuti. Balvano è un piccolo paese, la sua stazione ferroviaria, compressa tra monti e gallerie, lo è ancora di più. La notte è fredda e piove. La primavera ancora è lontana in tutti i sensi.
Siamo alle 0.50 quando i due macchinisti del treno merci 8017, diretto a Potenza, allentano i freni e partono dalla stazione. Il capostazione di Balvano, Vincenzo Maglio, batte al telegrafo il segnale di "partito" al suo collega della stazione successiva, Bella-Muro, distante pochi chilometri. Un tragitto dovrebbe essere percorso in una ventina di minuti. Ma quel treno, a Bella-Muro non ci arriverà mai. Cosa accadde non ci è dato conoscerlo con precisione ancora oggi, figuriamoci al tempo dei fatti, in un Paese alla fame e sconvolto dalla Guerra. Ecco come il Corriere della Sera descrive l’accaduto, il 6 Marzo. "L'agenzia Reuter comunica da Napoli che 500 italiani sono periti venerdì mattina per asfissia in una galleria ferroviaria dell'Italia meridionale. Altre 49 persone sono degenti all'ospedale. Per mancanza di treni viaggiatori un gran numero di persone era salito su un merci diretto a oriente, stipando i carri aperti che lo componevano. Nell'attraversare una galleria, il treno che già procedeva assai lentamente, rallentava ancora la marcia, sicché il denso fumo che ingombrava la galleria stessa in seguito al passaggio di altri convogli provocava la soffocazione della maggior parte dei disgraziati viaggiatori".
Non molto altro fu raccontato nelle settimane seguenti. Perché? Per provare a comprenderlo dobbiamo compere alcuni passi indietro. In quei mesi L’Italia era tagliata in due. Al di sopra della linea Gotica si combatteva furiosamente ed i tedeschi producevano una residua tenace resistenza. Nel centro-sud, ormai liberato e sotto l’occhio vigile degli alleati, il nemico maggiore era la fame. In molti facevano la spola tra città e campagna per cercare generi alimentari e sfamare la propria famiglia. Inoltre la borsa nera proliferava senza controllo. Si compravano, spesso direttamente dalle truppe alleate, merci rare come sigarette e cioccolata e le si portava in campagna per scambiarle con olio, uova, carne che nelle città come Napoli erano carenti. Questi alimenti venivano poi rivenduti con forti guadagni. Per spostarsi tra città e campagna gli unici mezzi a disposizione erano i pochi treni merci, sotto controllo del comando alleato, che in teoria non avrebbero dovuto trasportare nessun passeggero.
Il treno merci n. 8017, il nostro treno, era diretto a Potenza per caricare legname per la ricostruzione di ponti nella zona di combattimento. E’ composto da 47 carri, una ventina dei quali scoperti. Come sempre borsari neri, e semplici persone in cerca di cibo lo prendono immediatamente d'assalto. È proibito salire sui merci, ma si tende a chiudere un occhio. Il treno parte da Battipaglia alle 19.00, calamitando di stazione in stazione passeggeri a decine. A Romagnano porta con se almeno 600 viaggiatori clandestini. Qui viene agganciata in testa una seconda locomotiva, del tipo 476 adatta ai percorsi di montagna. Alle 23.40 il treno 8017 lascia Romagnano. Alle 0.12 giunge a Balvano, ma a causa di un guasto al treno che lo precede è costretto ad attendere per più di trenta minuti all’imbocco di una galleria.
Il fumo stagna, non tira un alito di vento e, durante questi lunghissimi minuti di attesa i passeggeri respirano fumo e gas, sprigionati dal pessimo carbone usato per le caldaie delle locomotive. Carbone di bassa qualità fornito dal comando Alleato. Finalmente, alle 0.50, il convoglio parte dalla stazione di Balvano per insinuarsi tra le montagne. Piove, anzi nevica. Una galleria. Poi, un'altra, un'altra ancora. In salita. Le rotaie sono rese viscide dall’umidità e dal freddo. Molti passeggeri dormono ignari del pericolo. Ecco arrivare la “galleria delle Armi” lunga 1695 metri. Il teatro della tragedia. Il treno arranca, le due locomotive non riescono a mordere le rotaie. I macchinisti gettano carbone nelle caldaie, ancora e poi ancora. Il treno si arresta, arretra, sembra ripartire. Si ferma, questa volta definitivamente. Non riparte più. E la sorte della gran parte dei passeggeri da quel momento è segnata. I gas tossici spigionati dalle caldaie che intasano presto la tortuosa e buia galleria, vestono i panni di un assassino spietato e rapido. La maggior parte dei viaggiatori passa dal sonno alla morte. Perché il treno non riuscì a ripartire? Possiamo proporre congetture, parzialmente suffragate dalle testimonianze dei superstiti, per lo più chi viaggiava nei vagoni di coda rimasti allo scoperto. La locomotiva di testa viene trovata con la leva di comando sulla retromarcia, l’altra con la leva di comando spinta in avanti. Evidentemente quando il treno s'era fermato, i due macchinisti, colti dal panico o magari già intontiti dai gas, impossibilitati a comunicare fra di loro, non ebbero identica reazione. Probabilmente questo fu fatale. Una possibile concausa ci viene indicata da uno dei soccorritori che ricorda come, al momento del ritrovamento, molti veicoli risultavano frenati, impedendo al treno di retrocedere. Perché? Tra i superstiti, sull'undicesimo vagone dalla coda, viaggiava Giuseppe De Venuto, un operaio delle ferrovie che fungeva da frenatore. Riuscì a scendere dal treno e si diresse verso l'uscita della galleria. Con le forze residue, semisvenuto ed intontito dal fumo cercò ti tornare alla stazione di Balvano per dare notizia dell’accaduto. Proprio i soccorsi furono una delle tante circostanze incredibili di quella notte. La distanza fra le stazioni di Balvano e la successiva è di soli 8 chilometri.
Soltanto alle 2,40 mancando il dispaccio dell’arrivo da parte della stazione Bella-Muro i capistazione si agitarono costatando che il treno 8017 non era arrivato regolarmente ed era ancora in linea. Ma non accadde quasi nulla. Pressappoco quando De Venuto entrò barcollando nella stazione di Balvano, esclamando con la poca voce rimasta prima di svenire «Là, là, sono tutti morti, tutti morti!», il capostazione di Balvano allertò tutte le autorità a partirono i soccorsi. Ma il tragico orologio di quella notte segnava ormai le 05.10. Si fece staccare una locomotiva da un altro merci. I soccorsi giunsero in galleria e si diressero al treno della sciagura constatando con notevole ritardo la macabra scena. Decine di corpi distese sulle rotaie. L’8017 venne agganciato e rimorchiato a Balvano. Finalmente ci si rese conto di quali fossero le proporzioni del disastro. In un vagone i corpi delle vittime erano talmente ammassati che bloccavano lo sportello, che venne quindi squarciato. Questo è quello che accadde quella notte. Dal giorno successivo un silenzio spettrale a Balvano, dove i corpi delle vittime furono poi sepolte in fosse comuni nel piccolo cimitero del paese. Il silenzio spettrale strisciò ovunque aggiungendo domande alle domande. La tragedia fu infatti tenuta sotto silenzio per quanto possibile. 
Le inchieste risultarono poco precise e frettolose. Le esigenze di Guerra ed il comando alleato, richiedevano discrezione. La colpa del disastro fu attribuita ufficialmente al carbone di qualità scadente non in grado di fornire la necessaria potenza alle locomotive. Carbone che sprigionò invece quantità eccessive di gas tossici. In una relazione dal ministero dei Trasporti del 1952, si legge: "Il treno si fermò perché il macchinista fu colpito dalle tossiche esalazioni dei prodotti gassosi della combustione del carbone, particolarmente ricco di ossido di carbone. In proposito vale notare che, da parte del Comando alleato, venne imposto l'uso di tale carbone, assolutamente inadatto per le locomotive allora in esercizio". In realtà le cause della tragedia furono molteplici. Oltre ai quesiti nati in seguito al ritrovamento del treno, locomotive direzionate diversamente, vagoni frenati, soccorsi in fatale ritardo, dobbiamo considerare altri elementi oggettivi sfortunati. La giornata era poco ventosa, per cui la galleria non risultava ben ventilata, l'umidità della foschia notturna aveva bagnato i binari, rendendoli scivolosi. Il sovraccarico del treno e la presenza a bordo di viaggiatori clandestini non aiutò sicuramente il treno a mordere le scivolose rotaie della galleria della Armi. 
Della tragedia del treno 8017 si potrebbe parlare ancora molto. Ci premeva in questa sede ricordare una vicenda poco conosciuta, e troppo in fretta dimenticata. Talmente dimenticata che ancora oggi non conosciamo il numero esatto delle vittime. Conosciamo però la storia di molte di loro, povera gente attanagliata dalla fame, che quella notte intraprese come molte altre volte un viaggio disperato, alla ricerca di cibo e speranza per se e per le proprie famiglie, trovando invece in buio della morte lungo i freddi binari di una galleria. 
Questa è la storia del treno 8017. 
Luca Fontana

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