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giovedì 27 marzo 2014

Le Idi di Marzo (15 Marzo 44 a.C)

Dipinto "Morte di Giulio Cesare"
Il 15 Marzo del lontano 44 a.C. fu portato a compimento il “delitto politico” più famoso della Storia: quello di Gaio Giulio Cesare.
Bisogna però partire da quindici anni prima, nel 59 a.C, per raccontare un po’ di contesto storico che portò alla congiura delle “Idi di Marzo”.
Cesare era Console e portò le legioni romane alla vittoria nelle campagne di Gallia. Strinse un’alleanza politica con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, il famoso Primo Triumvirato, che doveva garantire la governabilità di Roma e delle legioni, ma dopo la morte di Crasso gli accordi con Pompeo si ruppero e il 10 Gennaio del 49 a.C. Cesare attraversò il Rubicone col suo esercito, cosa assolutamente vietata perché il fiume delimitava la zona entro cui un generale non poteva marciare armato. Cesare oltrepassando il Rubicone (celebre la frase “Alea iacta est”) di fatto dichiarò guerra alla Repubblica.
Dopo anni di campagne vittoriose tra Spagna, Tessaglia, Egitto ed Africa tornò a Roma e iniziò una riforma della Repubblica, ponendola sotto il suo controllo.
La definitiva sconfitta della fazione pompeiana dopo la battaglia di Munda nel 45 a.C. procurò a Cesare le antipatie dei sostenitori della Repubblica che temevano l’istaurarsi di una Monarchia che nessuno a Roma avrebbe visto di buon occhio.
Le tendenze al potere autoritario di Cesare, il protrarsi delle guerre civili, le pressioni dei gruppi anticesariani interni al senato e le rivalità esistenti tra gli stessi componenti dell'ambiente cesariano crearono una situazione favorevole allo sviluppo di progetti di congiura che dovevano risolversi con l'uccisione del dittatore.
I Cesaricidi veri e propri furono circa una ventina, ma complessivamente i congiuranti erano una sessantina. Tra di loro spiccavano i nomi di Casca, Decimo Giunio Bruto, Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino.
Il più famoso tra coloro che non aderirono alla congiura, seppur gradendo l’eliminazione di Cesare, fu Cicerone.
Il 15 Marzo del 44 a.C. Cesare entrò in Senato e si sedette al suo seggio dove fu subito circondato dai congiurati. Il primo che sfoderò il pugnale e che colpì Cesare fu Casca, ma la ferita al collo non fu mortale. Cesare cercò di difendersi come poteva, ma quando vide tra i nemici che lo volevano morto anche Marco Bruto capì che per lui era arrivata la fine. Si inginocchiò ai piedi della statua del suo storico nemico Pompeo e morì dopo 23 coltellate.
Prima di spirare pronunciò la storica frase: “Tu quoque, Brute, fili mi! ("Anche tu Bruto, figlio mio!").
La morte di Cesare non servì ad arrestare l’inesorabile processo di che portò alla fine della Repubblica. Le lotte di potere successive portarono alla morte tutti i congiurati e al comando Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare.
Dante Alighieri nella Divina Commedia, inserirà Bruto e Cassio (che si tolsero la vita) nella Giudecca, la parte più pronfonda dell’Inferno, proprio tra le fauci di Lucifero, assieme a Giuda Iscariota, tacciandoli di essere traditori dell’Impero.
Marco Fontana

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