E’ quasi mezzogiorno del 20 Luglio 1944. Siamo a Rastenburg nella Prussia Orientale. E’ molto caldo. Il momento fatale e sospirato sta per arrivare e al colonnello Claus von Stauffenberg sudano le mani. Sarà lui ad uccidere Adolf Hitler. Sarà lui, da li a pochi minuti, a mettere in pratica l'attentato che porrà fine all’agonia della Germania ormai sconfitta e rovescerà il regime. Sarà lui l’esecutore materiale di quel gesto necessario, troppe volte evocato, troppe volte non portato a termine negli anni e nei mesi precedenti. Una scelta maturata nel tempo, una scelta complicata, pensò Claus, per un militare pluridecorato come lui. Un conto è opporsi ad un dittatore che sta portando il Paese alla rovina, ma un soldato deve eseguire gli ordini, non può tradire. Ma a tutto c’è un limite e Claus questo limite lo aveva oltrepassato da tempo. Così come la misura era colma per gli alti militari e politici che da mesi avevano organizzato quel complotto e che lo avevano quindi reclutato tra loro. Il generale Olbricht, il colonnello Henning von Treskow, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, il generale a riposo Ludwig Beck, il dottor Carl Friedrich Goerdeler e molti altri. Decine, centinaia di personalità tedesche. La scelta su chi dovesse compiere materialmente l'attentato cadde proprio sul colonnello von Stauffenberg in quanto egli aveva ottime opportunità di avvicinare il Führer durante le riunioni quasi quotidiane che si svolgevano nel protetto quartier generale della “Wolfsschanze”, la Tana del Lupo, disperso appunto tra i boschi di Rastenburg.
Così toccava a lui. Ci avevano già provato in molti. Ci aveva già provato perfino lui pochi giorni prima. Ma Hitler sembrava avvolto da una protezione misteriosamente magica, una fortuna quasi mistica. La settimana precedente Claus partecipò ad una conferenza alla presenza del Furher portando una bomba nella sua valigetta, ma a causa di contrasti tra i cospiratori, che ritenevano dovessero essere contemporaneamente eliminati Hermann Göring ed Heinrich Himmler, l'attentato non venne realizzato all’ultimo istante a causa della mancata presenza di quest'ultimo. Quando un impaziente von Stauffenberg il 15 luglio si recò nuovamente alla “Tana del Lupo”, la decisione di uccidere Hitler insieme ad Himmler era stata abbandonata, ed il piano consisteva nel posizionare la valigetta con la bomba dotata di un innesco a tempo all'interno del bunker di cemento dove usualmente si tenevano le riunioni, uscire con un pretesto e attendere l'esplosione per poi fare ritorno a Berlino con tutte le teoriche conseguenze del caso. Anche in questa occasione l'attentato non poté essere realizzato in quanto Hitler venne chiamato accidentalmente fuori dalla stanza lasciando Claus di sasso.
Ma ora Claus von Stauffenberg è nuovamente sul luogo pronto ad agire ed innescare l’operazione Valchiria, che sarebbe partita un minuto dopo la certezza della morte di Hitler. L’operazione Valchiria era un piano ideato dallo stesso regime al fine di proteggersi con una mobilitazione dell’esercito territoriale in caso di rivolta interna. I cospiratori, una volta morto Hitler, avrebbero assunto il controllo delle posizioni nevralgiche utilizzato legalmente quello stesso piano opportunamente modificato per rovesciare il regime stesso, mobilitando l'esercito territoriale non contro la minaccia preventivata ma viceversa contro le SS ed i vertici del partito, assumendo poi il potere. Ma tutto questo sarebbe stato inutile e non realizzabile se Claus von Stauffenberg avesse fallito, di li a pochi minuti. Claus era nervoso. “Cosa sarebbe potuto andare storto questa volta?” si chiese. Claus era giunto nuovamente alla Wolfsschanze da qualche ora in compagnia del tenente Werner von Haeften e del generale Hellmuth Stieff; sia von Stauffenberg che von Haeften portavano una bomba nelle rispettive borse. La riunione in cui avrebbe dovuto essere presente il Führer era in programma per le 13.00 ed i due ufficiali si recano di buon mattino a conferire con il generale Fellgiebel che insieme al generale Stieff avrebbe dovuto trasmettere la notizia della morte di Hitler e quindi bloccare qualunque comunicazione verso l'esterno, per dare tempo ai cospiratori di avviare l'operazione Valchiria. E’ passato da poco mezzogiorno e le mani di Claus continuano ad essere sudate. Si reca dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel per sottoporgli il contenuto della sua relazione e, dopo averne ottenuto l'approvazione, viene informato dell'anticipo della riunione alle 12.30 a causa dell'arrivo di Benito Mussolini che sarebbe giunto in visita nel pomeriggio. Primo intoppo. Il cambiamento di orario rende necessario accelerare l'operazione di innesco degli ordigni. Nella contingenza di quei momenti di assoluto nervosismo Von Stauffenberg si apparta con Stieff ma i due riescono ad innescare una sola delle due bombe interrotti da un sergente che, bussando alla porta, li sollecita di sbrigarsi. La riunione è cominciata. Una bomba, una valigetta dunque. Non si poteva fallire. Il colonnello Von Stauffenberg esce con la borsa sotto il braccio diretto alla fatale riunione. La riunione a causa del caldo non si sarebbe svolta in un bunker ma una sala riunioni di un edificio come tanti in mattoni e legno con finestre tutte aperte per far entrare un po’ d’aria. “Accidenti” pensa Von Stauffenberg, “questo potrebbe assorbire gli effetti dell’esplosione, la carica potrebbe non essere sufficiente”, ma a quel punto era impossibile fermarsi. All'interno dell'edificio, il colonnello chiede di essere posizionato vicino al Führer a causa dei suoi problemi di udito; La valigetta viene posizionata sotto il tavolo, ma, altro intoppo, sembra che il colonnello Heinz Brandt, che era in piedi accanto a Hitler, infastidito dalla presenza di quella borsa accanto a se, la sposta con il piede dietro ad una gamba del massiccio tavolo di legno. Un gesto semplice, un gesto che probabilmente ha mutato la storia. Quel giorno le parole deliranti del Furher e quelle asservite dei suoi sottoposti devono essere sembrati come degli indistinti ronzii a Claus. I minuti trascorrevano lenti. Impossibile resistere oltre. Era giunto il momento prefissato. Dopo poco l’impaziente von Stauffenberg domanda all'attendente di Keitel di potere uscire per fare una telefonata ed i due lasciano insieme la stanza e, una volta giunti all'apparecchio telefonico, von Stauffenberg chiede di essere messo in comunicazione con il generale Fellgiebel; l'attendente lascia il colonnello che finge di comporre la telefonata ed esce dall’edificio.
Mentre von Stauffenberg percorre a piedi i circa trecento metri che lo separano dall'automobile che lo attende, il generale Heusinger sta terminando la sua relazione “se non facciamo ritirare immediatamente il nostro gruppo di armate che si trova accanto al lago Peipus, una catastrofe...”. Non ci riesce. Viene interrotto dall'esplosione che avviene esattamente alle 12.42.
Dalle labbra di Claus esce un ghigno di soddisfazione. Hitler è morto. Per forza, Un esplosione fragorosa. Nessuno sarebbe potuto scampare ad un botto simile. Il colonnello, insieme al tenente von Haeften, sale in macchina. In realtà nella confusione e nella fretta, non era riuscito a vedere nulla di quanto fosse realmente accaduto. Le finestre aperte, la gamba del tavolo, una bomba invece che due. Avrebbe dovuto pensarci Claus.
Alle 12.44 Von Stauffenberg esce dalla Tana del Lupo con uno stratagemma e s'imbarca sull'aereo messogli a disposizione dal generale Eduard Wagner per fare ritorno a Berlino. Dopo l'esplosione, da Rastenburg il generale Fellgiebel doveva informare Berlino dell'accaduto. Da quell’istante iniziano una serie di sconcertati episodi e sfortunate coincidenze che furono letali per Claus e tutti i congiuranti. L’operazione Valchiria parte, ma con fatale ritardo. La confusione delle informazioni fu tale che la milizia territoriale non viene messa in movimento fino all'arrivo a Berlino di von Stauffenberg. Troppo tardi. Claus non si perde d’animo e da il via al piano comunicando a tutti i distretti la morte del Führer, nonostante il rifiuto del generale Fromm a collaborare. Il generale Fromm, quello che sapeva del complotto, ma non si era ancora schierato apertamente. In attesa di vedere la piega presa dagli eventi. E la piega presa dagli eventi avrebbe condotto Claus e tutti gli altri congiuranti a fallire ed a cadere tra le braccia della terribile vendetta del Furher. Perché alla fine dei conti Hitler non era morto e, scampato pur ferito all’attentato, aveva ripreso il controllo della situazione. Perché ancora una volta la condizione necessaria per rovesciare il regime non si era verificata. Ancora una volta la fortuna aveva aiutato Adolf Hitler.
Luca Fontana
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