Luigi XVI quel giorno si sentiva apatico e nervoso. Come molte altre volte. Troppe. Giorni grigi che si rincorrevano, sorvolando le proprie perenni indecisioni. Quelle riforme mai portate a termine, il poco coraggio nell’imboccare la strada di scelte che scontentassero i nobili. In fondo lui sapeva che avrebbe dovuto fare di più, come il suo stile sembrava promettere nei primi anni di regno. Ma proprio non ci riusciva. Per non parlare poi della vita privata, se di vita privata si poteva parlare. Il rapporto con la consorte, Maria Antonietta, non era certo dei migliori. Amore? Mai. Al massimo un indifferente rispetto, trasformatosi con il tempo in senso di colpa, in paura di non essere all’altezza. Ed ecco che, come per ricompensarla in qualche modo, le aveva lasciato la briglia perennemente sciolta. Ma questo non si poteva certo definire amore. Sospirò. In fondo lui era sempre il Re di Francia. Inoltre quella diavoleria che si stava innalzando nel cielo sopra Versailles non poteva certo non stupire e divertire. La folla presente nel giardino della reggia per un attimo lo rincuorò. Un fugace sguardo verso Maria Antonietta, che era li a fissare il cielo vicino a lui, e poi ancora con il naso all’insù verso l’incredibile spettacolo rappresentato da quel pallone volante. La folla accorsa nei giardini della reggia per assistere all’esperimento di quei due pazzi dei fratelli Montgolfier sembrava affascinata. Come lui. Come il Re. Luigi XVI si sentì più sereno e cercò con lo sguardo quel buffo uomo che stava stupendo Parigi con la propria invenzione.
Etienne Montgolfier era gonfio d’orgoglio. Il Re in persona lo stava osservando, così come i membri dell'Accademia delle Scienze. Per non parlare poi di quella folla stupefatta ed entusiasta. La reggia di Versailles gli sembrava più bella di come l’avesse mai immaginata. Tutto procedeva per il meglio. Il suo "Aerostate Révellion" danzava nel cielo. Un po’ indeciso, ma danzava. Del resto l’esperimento non poteva che riuscire meglio dei precedenti. Per la prima volta vi erano dei viaggiatori nel cesto di vimini legato all’enorme pallone di 1400 metri cubi. Un montone, un'oca ed un gallo. Chissà quanto sarebbe durato il volo, pensò Etienne. Dove sarebbe caduto il suo aerostato e se sarebbero sopravvissuti quei tre poveri animali. Il suo aerostato? Non proprio. Il merito se vogliamo era da attribuire almeno in egual parte al fratello Joseph. Certo era toccato ad Etienne correre a Parigi per gli esperimenti e per attribuirsi la paternità dell’invenzione. Era Etienne quello che sapeva e doveva amministrare l’azienda di famiglia. Inoltre lui, avendo studiato a Parigi, aveva più familiarità con le abitudini e i costumi della città mentre il fratello Joseph, originale nei modi e poco avvezzo alle relazioni pubbliche decise di rimanere a casa.
Ma era stato il fratello, geniale ed un po’ inaffidabile, ad avere la prima idea del pallone volante. Joseph stesso gli aveva raccontato in che modo, gli venne l’illuminazione. Si trovava ad Avignone nell’autunno precedente per portare avanti gli affari della cartiera di famiglia. Una sera, seduto davanti al fuoco di un camino, i pensieri corsero verso il tenace assedio alla fortezza di Gibilterra che le forze navali spagnole e francesi portavano avanti da tempo allo scopo di sottrarre quel piccolo pezzo di terra agli Inglesi. Gibilterra fino ad ora si era dimostrata imprendibile sia dal mare che da terra. Perché non provarci dal cielo?. Perché nessun uomo aveva mai potuto volare fino a quel momento. A quel punto la camicia gli aprì la mente ad una possibilità incredibile. L’aria riscaldata dal fuoco del camino faceva svolazzare verso l’alto la propria camicia, stesa ad asciugare. Per un genio come Joseph passare da quella visione al costruire una scatola ricoperta di tela e farla alzare fino al soffitto sospinta da un fuoco sottostante fu un passo breve e quasi scontato. E da quel passo tutti i successivi, magari più lunghi e trapunti di ostacoli. Esperimenti di varia natura e materiali, fallimenti e segnali incoraggianti. Fino ad arrivare davanti al Re nei giardini di Versailles. Quel giorno, per la prima volta, tre esseri viventi potevano sorvolare la terra dall’alto di un oggetto volante. Anche se solo per otto minuti. Ed il merito era tutto loro. Dei fratelli Montgolfier. L’importanza del pallone aerostatico che sfruttando l’aria calda vibra nel cielo un po’ instabile e tremante non si esaurisce in una splendida invenzione che ancora oggi ammiriamo ricordando il nome dei due fratelli francesi. Nei giardini di Versailles quel giorno si sfidarono inconsapevolmente due mondi. Il mondo figlio del secolo dei lumi, un periodo di grande splendore artistico, culturale, scientifico e tecnico che ci avrebbe accompagnato attraverso la Rivoluzione Francese ad incontrare la società moderna come la conosciamo oggi, ed una rappresentazione al crepuscolo, che aveva come attori il Re e sua moglie, rappresentazione impregnata di indecisioni e di incapacità nel comprendere il mondo in movimento e di antichi e insopportabili privilegi. L’incontro tra gli occhi dell’inventore e quelli del Re, sotto il sorriso vigile e complice della prima mongolfiera, fu un momento da fermare come in una fotografia. Per riguardarlo spesso e capire come è nei frangenti più inaspettati che la Storia può mutare se stessa. Come in una magia. La magia del pallone volante.
Luca Fontana
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