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venerdì 25 aprile 2014

Luigi e l'alba di un giorno nuovo (25 Aprile 1945)

E’ buio. A Milano è ormai calata la sera quando Luigi si decide ad emergere da quel buco che era diventato il suo nascondiglio negli ultimi mesi. E per fortuna che c’era quel buco. La cantina nascosta della trattoria del Beppe, in Piazzale Dateo. Un rifugio sicuro per sfuggire alle ultime retate dei Repubblichini, o dei Tedeschi. Certo è il 24 Aprile, pensava Luigi in quei momenti, la liberazione di Milano è imminente e con essa la fine dell’incubo per l’Italia intera. Ma non bisogna abbassare la guardia. Manca poco, ma quelle ore potevano divenire le più insidiose. Il destino del mondo era segnato, la storia non avrebbe più mutato il proprio cammino verso la libertà, ma i pericoli erano ancora molti, pronti a stringerti al primo errore, al primo passo falso. Mentre usciva di nascosto dalla trattoria, accolto dalla protezione dell’oscurità, questi pensieri lo assillavano. Doveva arrivare vivo al giorno dopo, rivedere la moglie Teresa e la figlia Mirella. Altrimenti tutto sarebbe stato inutile. Il giorno seguente avrebbe sorriso ad un mondo nuovo, ma senza poterci vivere, amare, vederci crescere la propria figlia, tutto sembrava stemperarsi in un inutile lavorio del pensiero.

Ecco perché mentre avanzava rapidamente tra gli alberi di Corso Indipendenza, Luigi non riusciva proprio ad andare con il pensiero agli amici gappisti della III brigata Garibaldi che poche ore prima avevano assaltato la caserma della Guardia nazionale repubblicana di Niguarda. Nemmeno all’insurrezione nelle fabbriche ormai cominciata o alle notizie che gli erano giunte nel pomeriggio dalle periferie della città, dove dilagava la battaglia con i nazisti in fuga.

No. In quei momenti l’unico obbiettivo era riuscire ad entrare nel cortile di casa, in Corso Concordia e, anche fosse stato solo per un piccolo, fugace momento clandestino, rivedere i propri cari. Portargli la notizia. Il giorno dopo sarebbe stato quello buono. Doveva farlo. Anche a costo di affrontare quel rischio incredibile, stando allo scoperto per lunghi minuti, prima di tornare a rifugiarsi nel sottobottega dell’osteria. Un’ultima notte ancora, a sognare il sorgere del sole, avvolto in quella solitudine senza confini. Accompagnato da rumori che non riusciva nemmeno a distinguere arrivò a destinazione quasi senza respiro. Così come gli mancò il fiato quando riuscì, seguendo il solito rituale, a richiamare l’attenzione della moglie e della figlia, che si affacciarono alla finestra quasi incredule. Uscirono pochissime parole. Solo un sussurro. “Domani torno a casa, è finita, è finita.” Ma più di quello poterono gli sguardi. Non serviva altro. 

Luigi ce l’aveva fatta. Era giunto il momento di tornare a nascondersi, fino al mattino. Ancora in quella cantina. Luigi nemmeno si ricordava con esattezza l’ultimo giorno in cui aveva dormito nel suo letto. Erano passati mesi, da quel pomeriggio in cui era fuggito per miracolo avvisato e nascosto dalla fedele portinaia del palazzo. Era riuscito ad udire le risposte che Mirella, seppur giovanissima, aveva preparato come regalo a quei loschi individui di nero vestiti. “Papà non c’è, non lo vediamo da tempo, nemmeno mamma. E’ andata trovare la zia in ospedale, tornerà tra poco” D’altronde a questo Luigi era abituato. Erano anni che viveva in fuga permanente. Aveva assaggiato più volte la galera. Sulla strada del ritorno pensò finalmente all’intensa giornata che avrebbe trascorso l’indomani. Già di primo mattino presso il collegio dei salesiani di via Copernico si sarebbe riunito il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia che avrebbe sicuramente approvato all’unanimità la proclamazione dell’insurrezione stabilendo l’assunzione di tutti i poteri, civili e militari. Luigi avrebbe partecipato a quella riunione seppur con un ruolo defilato. Poi, nel pomeriggio Luigi avrebbe dovuto prendere parte all’occupazione della sede del Corriere della Sera in modo da poter stampare l’edizioni insurrezionale de “l’Avanti”. Quello era il suo compito per il giorno seguente se fosse riuscito a sfuggire ai colpi di qualche cecchino nascosto o alle raffiche di qualche colonna tedesca in fuga. Perché di questo Luigi si occupava in quei mesi di lotta clandestina, come dirigente del Psiup. Oltre alla responsabilità politica di un vasto settore della città il proprio ruolo era quello di dirigere e organizzare il centro di distribuzione stampa dell’Avanti. Luigi segnalava alle tipografie, con alcuni giorni di anticipo, il luogo dove i giornali avrebbero dovuto essere depositati per la distribuzione. Altre volte veniva invece segnalata a lui la tipografia dove i giornali dovevano essere direttamente ritirati. Il trasporto avveniva in bicicletta, con più viaggi e sempre attraverso strade diverse e anche i depositi cambiavano di volta in volta. Al recapito i giornali venivano suddivisi tra i gruppi dei diffusori periferici nei punti prestabiliti. Osterie, trattorie, magazzini, case sinistrate, librerie, perfino farmacie. A dispetto del motto “esce quando può” nella farmacia di Livio Agostini, a Milano, una copia dell’Avanti si trovava sempre. In realtà non poteva bastare, per quanto capillare, l’organizzazione degli attivisti socialisti che raggiungeva fabbriche, uffici, stazioni se non coadiuvato dalla spesso eroico appoggio di centinaia di milanesi che con il passare delle settimane, sprezzanti del pericolo, trovavano il modo per inserire copie di stampa clandestina sotto le saracinesche dei negozi prima dell’apertura, o sul sedili di un taxi, all’interno di cinema e teatri. Ovunque, pur di portare la voce della libertà. Ecco perché più si avvicinava il momento, con il passare delle settimane, e più Luigi sentiva il dovere, come un fuoco che bruciava nel proprio corpo, di moltiplicare gli sforzi. Con essi, Luigi ben lo sapeva, aumentavano i rischi di essere scoperto, catturato, ucciso, come accadeva giornalmente a decine di compagni. Il Psiup era ben organizzato a Milano, certo, ma bisognava fare di più. Gli era stata affidata tutta la responsabilità politica del settore Monforte-Vittoria che però si estendeva addirittura fino all’ortica, ponte Lambro e Linate. Una zona vastissima da coordinare, per quanto ben organizzata e coperta da centinaia di tesserati e da una fitta rete di collaboratori e depositi per la stampa. “In fondo ho svolto un buon lavoro” pensò. L’indomani lo avrebbe completato con l’ultimo sforzo. Questi furono i pensieri di Luigi prima di addormentarsi. Anzi no, non riuscì a dormire. Il desiderio di tornare a casa e di poter costruire un’Italia nuova, un Italia che ancora non prendeva nemmeno forma nella mente, non gli permetteva di prendere sonno. Rimase così a pensare per ore. 

L’alba del nuovo giorno arrivò. La storia andò come tutti sappiamo, fortunatamente. E come tutti non dovremmo mai dimenticare. Anche Luigi portò a termine coraggiosamente il proprio compito. Il 25 Aprile, dopo che la sede del Corriere della Sera fu occupata tutto era pronto per la preparazione del fatidico numero. L’edizione dell’Avanti che annunciava la liberazione di Milano uscì quasi puntuale, il 26 Aprile e, finalmente, non clandestina. Non tornò a casa la sera seguente, Luigi. Ma il suo ritorno fu rimandato di poco. Adesso era davvero finita. Luigi è vissuto fino a vedere quasi la fine del millennio, andando bel oltre i novanta anni di età. Sempre in Corso Concordia, sempre con la propria famiglia. E sempre con quegli ideali ben vivi e quella voglia di esserci, di partecipare, di avere un ruolo e di essere un riferimento sicuro per molti. In politica, nel sindacato, con gli amici. Perché no, anche con i suoi figli, nipoti e pronipoti. Il 25 Aprile è una data simbolo, fondamentale per la nostra storia e per le nostre stesse vite. Il simbolo della liberazione dal nazi-fascismo, la fine della guerra in Italia e di tutta quella cappa di tragedie che hanno accompagnato il mondo intero in quei bui anni. Rappresenta altresì la nascita di un mondo nuovo, di quello che siamo e che saremmo potuti essere. Ma tutto questo è potuto accadere grazie alle innumerevoli piccole e grandi storie di gente semplice, donne uomini di ogni estrazione sociale, che hanno dato e fatto tutto quello che potevano per regalarci la libertà, fino ad arrivare a perdere spesso le proprie stesse vite. 

Ecco perché ho voluto ricordare il giorno della liberazione di Milano non attraverso il racconto dell’insurrezione nelle fabbriche e dell’estremo tentativo di mediazione di Mussolini con il Cardinale Schuster, ma attraverso una di queste piccole grandi storie. La storia di un uomo a cui penso spesso. La storia di Luigi, il mio bisnonno.

Luca Fontana


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