“…….Consentitemi di chiedervi, come amico, di alzare i vostri occhi oltre i pericoli di oggi, verso le speranze di domani, oltre la libertà della sola città di Berlino, o della vostra Germania, per promuovere la libertà ovunque, oltre il muro per un giorno di pace e giustizia, oltre voi stessi e noi stessi per tutta l'umanità. La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. Quando tutti saranno liberi, allora immaginiamo -- possiamo vedere quel giorno quando questa città come una sola e questo paese, come il grande continente europeo, sarà in un mondo in pace e pieno di speranza. Quando quel giorno finalmente arriverà, e arriverà, la gente di Berlino Ovest sarà orgogliosa del fatto di essere stata al fronte per quasi due decadi. Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire "Ich bin ein Berliner".
Con queste parole, Il 26 giugno 1963 il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy in visita ufficiale in Germania dell’Ovest conclude il discorso passato alla storia per il celebre passaggio «Ich bin ein Berliner».
Un discorso ricordato come un momento fondamentale della guerra fredda, una manifestazione di grande incoraggiamento morale per gli abitanti di Berlino ovest pochi mesi dopo la costruzione del Muro di Berlino. Parole. Parole forti ed incisive quelle scritte dal grande Ted Sorensen, non solo storica “penna”, ma anche ombra e fonte di ispirazione per JKF, parole che, come sempre, ben assecondano l’arte oratoria del giovane Presidente, risaltandone la capacità di interpretazione, di seduzione, l’arte di far nascere in chi ascolta il puro e semplice desiderio di credere. In un crescendo retorico, con inserti in tedesco “Lass’ sie nach Berlin kommen” e richiami alle radici classiche ed alla potenza simbolica dell’antica Roma, il discorso accolto da una folla in delirio, pigmenta un inno alla libertà universale.
Ampliando il pensiero oltre il discorso Berlinese, la complessità degli scritti di Sorensen per quel grande interprete che fu Kennedy, lasciano l’amarezza di una stupenda opera non compiuta. Per quanto intense e proiettate verso una nuova frontiera, permane il tragico dubbio che queste, come molte altre, rimangano solo parole. Non per mancanza di sincerità, quanto per quel fatale percorso che la storia dell’uomo ha voluto solcare in questi decenni, in cui poco, di ciò che una penna può aver potuto scrivere, una voce può aver lasciato riecheggiare, una mente può aver avuto l’ardire di pensare, si sia potuto realmente avverare. Questo è l’errore. Parole che forse volavano troppo alte per vedersi realizzate nel quotidiano incedere di esistenze mediocri. Io, da amante illuso, vorrei valorizzarne l’importanza andando oltre alla semplice retorica. Un discorso non è solo un insieme di parole indirizzate ad ottenere un applauso, ad essere accattivanti e convincenti. Un discorso può rappresentare un sogno, le parole ne sono la fiamma che per quanto disillusa dal tempo, non si può spegnere.
Luca Fontana
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